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L’eredità di Per Paolo Pasolini

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Tra lasciti morali e qualche profezia sbagliata

Qual è l’eredità di Pasolini? Che cosa ci ha lasciato? In un certo qual modo la risposta è abbastanza semplice e scontata, perché scorrendo la sua biografia/filmografia, Pasolini ha prodotto una mole enorme di materiale, divisibile in due distinti periodi: A) opere pubblicate in vita; B) materiale pubblicato postumo. Durante la sua vita artistica, che va dal 1942, anno di pubblicazione del libello poetico “Poesia a Casarsa”, fino al 1975, in cui riuscì a completare la pellicola maledetta Salò o le 120 giornate di Sodoma, non c’è stato anno in cui l’autore non abbia pubblicato qualcosa. Ci sono anni in cui comparivano anche più opere, e tra queste vanno inserite anche le singole introduzioni o premesse a libri scritti da altri autori. Certo, sono dei piccoli saggi/riflessioni/spot pubblicitari in opere altrui, però questi brevi scritti contengono l’essenza del pensiero pasoliniano e confermano come avere la firma del noto intellettuale poteva dare maggiore visibilità (e vendibilità) all’opera. Per quanto concerne il materiale editato post mortem, i livelli di produzione sono quasi paragonabili a quelli in cui era in vita. Dalla fine del 1975, a ridosso della violenta morte, fino all’incirca a metà anni Ottanta, quasi ogni anno veniva tirato fuori dagli archivi qualche reperto prezioso.

A tutto questo appena citato nel paragrafo precedente, bisogna aggiungere tutto quel materiale, cartaceo e filmico, in cui l’autore friulano vestiva i panni dell’intervistato. Pier Paolo Pasolini è stato l’intellettuale del suo tempo più mediatico. Benché non amasse il mezzo televisivo, poiché espressione del capitalismo e del consumismo, di quando in quando appariva in Tv per poter esprimere le proprie idee, e lanciare (con toni consoni al mezzo televisivo di quel periodo) le proprie invettive. Pertanto, un’eredità cospicua che ancora oggi possiamo (ri)prendere, valutare e confrontare con la realtà di oggi, però purtroppo è tronca. L’opera di Pasolini giunge fino al 1975, e sfortunatamente non analizza quel periodo che va dal 1980 fino alla fine degli anni Novanta, decadi che si riflettono ancora sull’oggi. Ad esempio, per quanto le sue accuse contro il medium televisivo fossero contundenti, Pasolini non ha vissuto la nascita delle Tv private, vero punto di non ritorno della Tv come megafono per il consumismo e l’imbarbarimento della lingua italiana. Oppure, Pasolini non ha potuto l’abbattimento del muro di Berlino e il lento declinare del Partito Comunista Italiano. Di questo aspetto, non va dimenticato come Pasolini nella prima metà degli anni Settanta stimasse i giovani comunisti, che sarebbero stati la vera forza rinnovatrice del partito. Molti di questi giovani, successivamente abbandoneranno il partito oppure lo snatureranno.

Quello che invece rimane, e a tutt’oggi sorprende, è l’editoriale nel quale Pasolini invoca un processo alla Dc, che poi in un certo qual modo avverrà durante Tangentopoli e con il processo a Giulio Andreotti. Il processo alla Dc – e agli altri partiti – non fu per le colpe dei “golpe” durante la Strategia della tensione, ma “semplicemente” per le tangenti, fatto comunque grave. Mentre quello ad Andreotti, confermava che c’era stato un rapporto tra Stato e malavita. Mentre altre profezie di Pasolini (la scomparsa delle lucciole, la cancellazione dei dialetti, la fine definitiva delle borgate e il già citato PCI ai giovani) non si sono avverate. Dietro la formidabile scrittura di questi editoriali, c’era una visione troppo pessimistica per quanto riguarda i primi tre punti, e di eccessivo buonismo nel terzo.

Roberto Baldassarre

Per approfondire:
La sessualità secondo Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini, uno sguardo nel futuro

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