E così è di nuovo Natale…
Siamo quasi alla fine di novembre e, si sa, ormai manca pochissimo a Natale. Tale lieto periodo dell’anno, come ogni piacevole ricorrenza che si rispetti, porta con sé, tuttavia, anche momenti decisamente meno gradevoli. Più che le interminabili cene con parenti che non vedi da un anno e che faresti volentieri a meno di vedere, infatti, ciò che del periodo immediatamente precedente questa festività maggiormente irrita è lo spropositato numero di cinepanettoni che, puntuali come una bolletta telefonica, ogni annp arrivano ad infestare ed a monopolizzare letteralmente le nostre sale a scapito di quel cinema ingiustamente considerato “di nicchia” che, se già ha poca visibilità di suo nel corso dell’anno, durante il periodo natalizio viene relegato a poche, sparse – ma indubbiamente preziose! – salette cinematografiche, spesso difficili da raggiungere. Visto che, ad ogni modo, a Natale – come vuole la tradizione – siamo tutti più buoni, non ci asterremo dal massacrare l’ennesimo cinepanettone di cui parleremo a breve, ma, al contrario, scandagliando uno ad uno i fattori che lo rendono un pessimo prodotto, tenteremo – nel limite delle nostre possibilità – di indirizzare, in qualche modo, il gentile pubblico verso più felici lidi. Sperando con tutto il cuore che il lungo e silente processo di appiattimento delle menti iniziato anni fa non abbia creato una quantità ormai ingestibile di danni irreversibili. Ah, per inteso: il film di cui andremo a parlare è La cena di Natale, diretto da Marco Ponti, a cui già era stata affidata la regia di Io che amo solo te – di cui questo lungometraggio è il sequel – e che, dopo Santa Maradona, sembra essere precipitato in un burrone senza fondo. Colpa – si potrebbe ipotizzare – non sua, quanto piuttosto di chi decide che la continua produzione di lungometraggi del genere sia qualcosa di assolutamente necessario. Tornando a noi, anche La cena di Natale – così come Io che amo solo te – è tratto dall’omonimo romanzo di Luca Bianchini. Ma andiamo a vedere a fondo di cosa si tratta.
Polignano a mare, Vigilia di Natale. Chiara è incinta di otto mesi del suo compagno Damiano, che, a quanto pare, non ha mai smesso di correre dietro alle altre donne. Ninella, madre di Chiara, riceve la proposta da parte di Don Mimì – il suo grande amore di gioventù, nonché padre di Damiano – di scappare insieme a Parigi. Orlando, fratello di Damiano, è un brillante avvocato gay che sta cercando di mettere incinta la sua migliore amica lesbica Daniela e che, allo stesso tempo, viene corteggiato da Mario, suo amico di infanzia. Tutti i protagonisti della pellicola si ritroveranno insieme durante la cena della Vigilia, dal momento che Matilde, madre di Damiano, ha voluto invitare tutti a casa sua per far sfoggio dell’ultimo regalo di suo marito: un prezioso anello di smeraldo. Durante la cena, però, ne succederanno di tutti i colori e molti nodi verranno al pettine.
Bene, già dalla trama si ha una vaga quanto irritante sensazione di déjà vu. E infatti, La cena di Natale non racconta alla fin fine nulla di nuovo. Ma questo, forse, è il male minore di tutti. Volendo sorvolare tutte le banalità e gli imbarazzanti luoghi comuni del film, vediamo, all’interno di una location che senza dubbio è di una bellezza quasi ipnotica, un cast ben nutrito e con interpreti capaci, ma evidentemente non proprio a loro agio nei panni dei personaggi loro assegnati e costretti a pronunciare battute piatte e scontate, dal dubbio effetto comico. Ne è un esempio particolarmente lampante, a questo proposito, il personaggio di Daniela – interpretato da una convincente Eva Riccobono – che di per sé suscita anche simpatia, ma viene caricato a tal punto da risultare alla fine eccessivamente costruito e poco credibile, quasi una sorta di macchietta. Anche gli espedienti comici – che risultano, nel contesto, fortemente prevedibili, oltre che già visti e rivisti – uniti ad una trama debole e quasi inconsistente, fanno sì che il pubblico non veda l’ora di arrivare, finalmente, ai titoli di coda, dove, tra l’altro, leggendo la dedica al compianto Bud Spencer, ci si emozione più che durante tutto il lungometraggio.
Piatto e banale nella sua realizzazione, La cena di Natale, però, è particolarmente urticante proprio per il fatto di essersi dimostrato, in sostanza, un film ipocrita e buonista. Perché declamare a gran voce quanto sia bello l’amore tra persone dello stesso sesso e quanto sia lodevole il desiderio di diventare genitori in una coppia omosessuale (cose indubbiamente condivisibili), quando poi – viste le scelte di sceneggiatura in chiusura del lungometraggio – si trasmette il sottotesto che, al di là di bugie e tradimenti, la cosa importante è che la famiglia rimanga a tutti i costi unita agli occhi della gente (basti pensare ai personaggi di Don Mimì e Ninella che – perdonate lo spoiler – alla fine scelgono di buon grado e senza sofferenza alcuna di continuare le proprie vite ricche di menzogne e bugie)? In poche parole, si strizza l’occhio al tema scottante del momento – al fine di accattivarsi le simpatie del pubblico – trasmettendo, però, alla fine della fiera, il solito messaggio bigotto e conservatore.
Ora, gentili lettori, in luce dell’analisi appena fatta, proprio perché a Natale siamo tutti più buoni, cerchiamo anche di volerci davvero bene ed evitiamo di spendere soldi per un prodotto del genere, scegliendo, invece, qualcosa di più stimolante e gratificante. Facciamoci questo regalo. Tanto, in ogni caso, chi decide di produrre film del genere non farà mai la fame, visto che, a quanto pare, un sostanzioso numero di spettatori sarà di certo impaziente di vedere l’ennesimo cinepanettone di turno. Questo è poco ma sicuro.
Marina Pavido