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Sam Was Here

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VOTO: 4

C’è nessuno?

C’è chi dopo avere visto Sam Was Here, presentato alla 34esima edizione del Torino Film Festival nella sezione After Hours, è andato persino a scomodare il cinema di genere a stelle e strisce degli anni Ottanta-Novanta e le paranoie che era stato capace di generare negli spettatori di turno. Beh ci sentiamo di dissentire con tale accostamento, rimandandolo diritto diritto al mittente, poiché la pellicola scritta e diretta da Christophe Deroo è lontana anni luce da esempi di una certa caratura quali Duel o il The Hitcher di Robert Harmon (stendiamo un velo pietoso sul sequel e sul remake). Il paragone con questi due autentici cult ovviamente non regge, ma in buona fede speriamo tanto che né il regista francese, tantomeno quegli addetti ai lavori che si sono lasciati andare a simili paragoni, non ci credano veramente. Magari si è trattato solo di un piccolo abbaglio e nulla di più, perché ciò che abbiamo avuto il dispiacere di vedere sugli schermi torinesi è un thriller dalle venature horror davvero pretenzioso, capace di irretire anche lo spettatore più paziente con accenti pseudo-fantascientifici che lasciano il tempo che trovano (vedi la linea rossa che appare in cielo, con la quale il regista cerca in qualche modo di suggerire alla platea componenti sovrannaturali nel racconto). I motivi sono svariati ed elencarli tutti diventerebbe un vero e proprio stillicidio, per cui daremo spazio solo alle mancanze più evidenti di un’opera che di positivo registra la pregevole colonna sonora dei Christine che rende omaggio agli spartiti carpenteriani e la breve durata della timeline. In tal senso, la sofferenza non è durata molto, anche se non è stata per nulla indolore.
Dobbiamo confessare che nella trappola ci siamo caduti anche noi e con tutte le scarpe. La trappola è scattata a causa di una serie di fattori che ci avevano convinto a puntare con una certa convinzione sull’esordio nel lungometraggio di Deroo, a cominciare dalla notizia che in Sam Was Here il regista avesse sviluppato trama e atmosfere di uno dei cortometraggi più convincenti tra quelli da lui firmati, ossia Polaris (2013). Siamo nel 1998 e ci troviamo nuovamente al seguito del venditore porta a porta Sam, mentre sta attraversando il deserto del Mojave, in California. Da giorni non incontra anima viva e non riesce a parlare al telefono con la moglie. Quando l’automobile si rompe, l’uomo rimane isolato. Per non perdere il contatto con il mondo, ascolta l’unica radio locale e scopre che un assassino è a piede libero nella zona. Nel frattempo strane minacce iniziano a perseguitarlo sul cercapersone. Gradualmente torna a incontrare delle persone, che però si mostrano ostili e aggressive. Forse lo scambiano per il fuggitivo, o forse cercano di trasformarlo in un omicida.
Il plot, con tutto il suo cospicuo bagaglio di suggestioni e reminiscenze al seguito, ha fatto il resto, spingendoci una volta per tutte verso la sala. Purtroppo, dopo i primi venti minuti la sensazione di avere puntato sul cavallo vincente inizia velocemente a scemare, cedendo il passo alla più cocente delle delusioni. In Sam Was Here, Deroo si limita a gettare nel calderone tutta una serie di citazioni più o meno evidenti a quel cinema di genere al quale ha sempre fatto riferimento da quanto ha iniziato la carriera dietro la macchina da presa (comprese quelle a Lynch e ai thriller americani del ventennio Ottanta-Novanta precedentemente indicati), senza però apportare mai nulla di personale e di originale alla causa. Insomma, esattamente il contrario di quello che ci hanno abituato a vedere con le rispettive opere i vari Tarantino e Refn. Ma il regista francese è ancora lontano dall’assomigliare ai più illustri colleghi, perché nel suo attuale modus operandi non c’è nient’altro che il cucire insieme ciò che di volta in volta ha deciso di andare a saccheggiare qua e là. Tutto questo non fa altro che vanificare anche quello che di potenzialmente buono ci poteva essere sulla timeline (vedi gli scontri corpo a corpo tra il protagonista e la poco ospitale popolazione locale). Il risultato è una severa bocciatura.

Francesco Del Grosso

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