Intervista al Direttore Artistico del Salento Finibus Terrae Film Festival
Calato il sipario sulla 13esima edizione del Salento Finibus Terrae Film Festival è tempo di bilanci. La serata conclusiva in quel di Fasano, per l’esattezza nell’incantevole cornice mozzafiato di Borgo Egnazia, ha riservato una serie di piacevoli sorprese a chi vi ha preso parte. Assegnati i riconoscimenti alle opere vincitrici delle sezioni competitive, la cerimonia di chiusura ha poi visto alcune personalità del mondo del cinema ricevere il prestigioso Premio Safiter, andato quest’anno a Renato Scarpa, Ilaria Spada, Marco D’Amore e al super ospite Abel Ferrara. A poche ore dalla fine della kermesse salentina abbiamo rivolto alcune domande all’ideatore e direttore artistico Romeo Conte che, oltre a dire la sua su come è andata questa edizione, non ha risparmiato una serie di frecciatine alle amministrazioni locali.
D: Questa 13edizione del festival si è appena conclusa, ci tracci un piccolo bilancio?
Romeo Conte: Ho avuto il privilegio di conoscere un grande regista, ossia Francesco Rosi. Lui invece di dire abbraccio usava la parola impronta. Mi piace pensare a quella parola che pronunciava spesso perché le impronte lasciano delle tracce e spero che questa 13esima edizione del Salento Finibus Terrae Film Festival ne abbia lasciate negli spettatori che hanno partecipato alle serate. Quella appena terminata è stata un’edizione più centrata e matura, dedicata per gran parte al tema dell’ambiente e con una larga partecipazione dei giovani e delle scuole. Ci sono sati meno ospiti rispetto agli anni scorsi, ma tutti quelli che hanno preso parte a questa edizione sono venuti con lo scopo di condividere con il pubblico le loro opere, spiegandone la genesi e i meccanismi narrativi, drammaturgici e tecnici che le caratterizzano. Abbiamo avuto Bonifacio Angius con la sua eccezionale e coraggiosa opera seconda dal titolo Perfidia, Edoardo De Angelis con il noir metropolitano Perez, abbiamo proiettato Ameluk di Mimmo Mancini dentro le Grotte di Castellana, a settanta metri sottoterra, e chiuso in bellezza con l’omaggio a Pier Paolo Pasolini in occasione del quarantennale dalla sua scomparsa con l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Abel Ferrara a lui dedicata. Quattro pellicole così diverse l’una dall’altra che hanno arricchito il programma di sfumature, accompagnando l’ampia selezione di cortometraggi selezionati nelle dieci sezioni competitive.
D: Gli anni e le edizioni trascorrono, ma la linea guida del festival è rimasta miracolosamente invariata, qual è il suo segreto?
Romeo Conte: Il mio festival deve rimanere indipendente. Per me il problema non sono i soldi, ma il riuscire a condividere il progetto con altre persone. Il mio problema non è riempire una sala di mille posti, ma preferisco avere meno spettatori ai quali proporre sullo schermo opere di qualità. Un regista che amo moltissimo, Mario Monicelli diceva: “i registi hanno smesso di essere tali quando hanno smesso di prendere il tram”. Oggi vogliono viaggiare tutti in prima classe, ma non è così che si dovrebbe affrontare questo mestiere. Chi fa cinema deve camminare per le strade e incontrare la gente. Molti mi chiedono tutti gli anni di portare vip e star popolari, ma a me non interessano, perché quelli li lascio ben volentieri ad altri festival vetrina. Ciò che mi interessa è dare visibilità a dei bei film e a dei bravi registi, indipendentemente dal titolo, dal genere e dal nome. Con questa idea di festival, nonostante lo scetticismo che ci circondava siamo comunque riusciti ad avere un nostro pubblico, sempre più fidelizzato, che potrà trovare nel programma che stiliamo una serie di film di qualità, che hanno da dire qualcosa. Questo per il sottoscritto è motivo di orgoglio.
D: Una delle grandi novità di quest’ultima edizione è stata quella di espatriare fuori dal Salento con una tappa nella splendida cornice delle Grotte di Castellana; perché questa scelta?
Romeo Conte: Abbiamo fatto uno studio sul brand “Salento Finibus Terrae” e ci siamo resi conto che oltre a un festival stiamo portando avanti un progetto per veicolare la Settima Arte indipendentemente dai luoghi. Il festival nasce in terra salentina, ma niente di impedisce di andare a proporre il suddetto progetto da altre parti con una manifestazione itinerante che possa andare a toccare zone diverse della Puglia. Per questo nella 13edizione abbiamo fatto una tappa nel barese, per la precisione alle Grotte di Castellana e probabilmente il prossimo anno ne faremo una ad Alberobello. Tale scelta ha lo scopo di coinvolgere tutte quelle amministrazioni che vogliono sposare il nostro progetto, non solo economicamente. Qui nel brindisino per esempio a parte quelle di San Vito dei Normanni e di Fasano non ci sono altre amministrazioni lungimiranti, ossia capaci di comprendere il potenziale messo a disposizione da una manifestazione come il Salento Finibus Terrae. Questo perché sono guidate da persone che pensano alla cultura come a un’altra cosa: una mostra di un pittore locale, la promozione della danza locale o una sagra. Niente contro queste iniziative, ma ciò che non hanno ancora capito coloro che amministrano i paesi limitrofi è che il festival non è un punto d’arrivo, piuttosto un punto di partenza. Non capiscono che a un festival come questo vengono giornalisti e telecamere e che le interviste e le immagini che realizzano fanno poi il giro d’Italia e non solo. Immagini e servizi, questi, che mostrano il territorio e le sue bellezze. Chi avrà modo di vederli potrà magari decidere di venire in Puglia a passare del tempo e a visitarla. Il turismo vive anche di questo e non cogliere simili occasioni denota da parte di coloro che non le vedono una mancanza di ….
Francesco Del Grosso