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The Blue Hour

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VOTO: 7

Certi fantasmi

C’è qualcosa di affascinante e inafferrabile in The Blue Hour (titolo internazionale per l’originale thailandese Onthakan), esordio alla regia nel lungometraggio di Anucha Boonyawatana.
Il cinema a tematica omosessuale, in linea generale, resta fedele a schemi preordinati, cercando di dimostrare – giustamente, se si esamina la cosa da un punto di vista sociologico – come un rapporto gay sia spesso più risolto e felicemente compiuto rispetto ad una qualsiasi relazione eterosessuale, se non altro per le difficoltà che i due amanti sono costretti a superare. Anche l’incipit di The Blue Hour pare rispettare tale convenzione, seguendo con sensibilità l’incontro tra i due teenager Tam e Phum, conosciutisi prima attraverso una chat su internet e poi di persona, in un incontro che sfocia subito in un rapporto sessuale consumato nei locali dismessi di una piscina da tempo abbandonata. E tuttavia Boonyawatana, anche autore dello script, introduce immediatamente una nota dissonante, un alone di mistero che avvolge il luogo del primo appuntamento – la piscina pare sia stata chiusa in seguito all’annegamento di alcuni nuotatori – e finisce inesorabilmente con il riverberarsi sul rapporto tra i due. All’illustrazione visiva della passione che intercorre tra i giovani, fatta di tempi sospesi e atmosfere rarefatte che inevitabilmente rimandano al cinema magistrale del connazionale Apichatpong Weerasethakul, si aggiunge un’insolita vena noir, quasi a suggerire tra le righe una possibile rapporto causa/effetto tra la relazione omosex e la consapevolezza, ovviamente indotta da fattori esterni ma altrettanto inevitabilmente assimilata, di stare commettendo un qualcosa di sbagliato, di impuro. L’omosessualità è osservata non come presa d’atto di una realtà e per questa ragione accettata in ogni sua sfumatura; bensì appare una sorta di percorso ad ostacoli che, cammin facendo, degrada in un autentico calvario capace di sfociare, come unica soluzione possibile, nella fine assoluta, se non fisica certamente simbolica. Una fuga da se stessi e da ciò che si è compreso di essere. In The Blue Hour, in un certo momento della narrazione, i crimini in stato di latenza fantastica nella mente dei protagonisti si fanno palesi, tattili, rendendosi conseguenza pressoché necessaria dello stato di pressione psicologica al quale sono sottoposti i due ragazzi, soprattutto Tam; i quali vengono “costretti” dalla sceneggiatura all’azione in locations di totale squallore come, oltre la piscina menzionata, anche una discarica dove vengono abbandonati cadaveri senza più nome e storia, vittime di una criminalità dilagante. Segnali che fanno da inevitabile preludio ad un finale dove la tragedia crescente finisce con l’assumere i toni catartici di una vera e propria liberazione.
Probabilmente il limite maggiore di un’opera comunque stilisticamente rimarchevole risiede proprio nella leggibilità piuttosto facile delle metafore, tipico difetto dell’opera prima in cerca di comprensibilità universale. Mentre al contrario il discorso intrinseco sull’omosessualità si fa complesso e articolato, abilmente contaminato da vari generi del cinema nonché scandito proprio dal morbido e graduale passaggio dal melodramma al crime-movie, dal coming of age fino alla tragedia più cupa.
Presentato nella sezione Panorama del Festival di Berlino 2015 The Blue Hour è, al tirar delle somme, un’opera che non merita affatto l’etichetta, tanto scomoda quanto facile da assegnare, di film d’essai riservato ad un pubblico di nicchia. Anche perché riesce nell’impresa di rendere esplicita – e perciò assolutamente degna di empatia – la terribile condizione di diversità al quale vengono sottoposte persone con orientamento sessuale differente. In continenti lontani ma anche in paesi che conosciamo assai bene. Come ad esempio può accadere nella nostra beneamata Italia. The Blue Hour – il titolo, assai poetico, fa riferimento alla cosiddetta “ora blu” che separa il giorno dal crepuscolo – è un film colmo di suggestione cinefile e assieme di denuncia, senza per questo fare a meno di un efficace scavo psicologico che lo avvicina a certi capolavori dell’inconscio sulla falsariga di David Lynch. Decisamente non poco.

Daniele De Angelis

Il film è visibile sul sito The Open Reel.

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