Quando il più grande sogno diventa realtà
«Io non so che farci di questo futuro». Per quanto questa frase la pronunci all’inizio de Il più grande sogno Mirko Frezza, non si può non sentirla vicina al di là del proprio vissuto personale. L’opera prima di Michele Vannucci prende come soggetto il percorso di quest’uomo, lo rielabora tra realtà e finzione, ma va oltre i confini di una storia creando dei punti di contatto umani con tutti e, nel particolare, con l’ambiente di borgata (siamo a “La Rustica”, zona a est della Capitale). Sì perché la vicenda di Frezza diventa un “pretesto” (nell’accezione più costruttiva del termine) per raccontare anche un mondo e un humus che esistono (forse oggi più che mai). Frezza era entrato in carcere a trentadue anni, a trentanove ne è uscito, il suo cominciare in macchina, on the road, è simbolico di questo viaggio. Di suo ha già voglia di prendere un’altra strada rispetto alla precedente, ma un incentivo ulteriore viene offerto dall’elezione, all’unanimità, di Presidente del comitato di quartiere. Non è semplice cambiare rotta tanto più se alcuni affetti cari, come il padre (l’intenso Vittorio Viviani), sono totalmente invischiati nel giro.
L’entusiasmo di Mirko contagia anche il suo migliore amico, Boccione (un Alessandro Borghi sempre straordinariamente in parte), fa sciogliere la riservata Paola (un’Ivana Lotito completamente calata nel ruolo). L’uomo, però, deve anche riconquistare la fiducia della moglie (la brava ed espressiva Milena Mancini) e della figlia maggiore (Ginevra De Carolis) – «un figlio non è ’na cosa che se pò descrive», dice Mirko. La più piccola, Crystel (Crystel Frezza), ha, invece, quella genuinità dei suoi anni.
Ne Il più grande sogno l’attore di Ti stramo sceglie di mettersi e far mettere in discussione non solo Frezza, ma anche gli attori professionisti. Il bello di questo lungometraggio risiede anche in questo mix, in cui non si vuole avere la rete sicura in cui eventualmente “cadere” o il tutto scritto, ma si è improvvisato e cercato di implicarsi con quell’humus – privato e non solo – senza scadere in raffigurazioni retoriche. «È un nuovo genere, un po’ cinema di narrazione forse, ma anche documentario, un cinema-verità totalmente puro, senza filtri», l’ha definito così la co-protagonista, Ivana Lotito, incontrata alla 14esima edizione del Salento Finibus Terrae. Questa è una delle direzioni che si sta effettivamente cavalcando sempre più nel nostro cinema. Ciò si sta verificando con la considerazione che si ha e dà ai film documentari (vedi, in ultimo, Fuocoammare di Gianfranco Rosi), ma anche attraverso lavori come Non essere cattivo di Claudio Caligari, Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti o Suburra di Stefano Sollima (solo per citare i casi più eclatanti dell’ultima stagione cinematografica).
«L’ho frequentato per tre anni, mi sono messo in ascolto ed ho iniziato a scrivere un racconto ispirato alla sua storia. Questo è Il più grande sogno: un film di finzione che nasce dalla realtà e che, grazie alla generosità di un gruppo di persone disposte a mettersi in gioco, torna alla realtà attraverso una messa in scena che si muove libera tra commedia, melò e crime. Questo film è dedicato a chi ogni giorno lotta per la vita che sogna», ha spiegato Vannucci nelle note di regia. Tutto questo amore per la vita, lo sguardo pulito e vero, ma non cinico verso la realtà traspare dall’obiettivo e da come si è scelto di mettere in quadro. La macchina da presa segue i personaggi, anzi le persone, gli sta addosso senza risultare invadente; i colori caldi, d’altro canto, sono in sintonia con l’animo passionale di Frezza. Il più grande sogno ha un ritmo di montaggio (Sara Zavaris) e una freschezza che trasporta lo spettatore con naturalezza verso la “conclusione” di questo viaggio, una “fine” solo sul grande schermo, che lascia tutte le traccia aperte per una vita da costruire e vivere. A enfatizzare il tutto, ma sempre nello spirito della pellicola, ci pensano le musiche di Teho Teardo e dei Last Before Dinner, così vive, carnali e al contempo evocative.
Il film è stato presentato in Concorso nella sezione Orizzonti alla 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, passerà anche al Milano Film Festival e ci auguriamo presto anche in altre kermesse e in sala.
Maria Lucia Tangorra