Il volo statico di un sognatore
Dare vita al romanzo di Sandro Veronesi non era affatto semplice: una complessa struttura a incastro da tradurre in immagini passando da un piano temporale all’altro senza soluzione di continuità, restituendo al tempo stesso sul piano emotivo l’altrettanto variegata gamma di personaggi che girano intorno al perno Marco Carrera. La regista Francesca Archibugi, con il suo tocco elegante ma non superficiale, è riuscita nell’impresa, coadiuvata da un ottimo cast, dal poliedrico Pierfrancesco Favino nel ruolo del protagonista Marco alla brava Laura Morante, da un’intensa Kasia Smutniak a un inedito Nanni Moretti sino ad un irresistibile Massimo Ceccherini, per citarne alcuni.
Seguire la storia, che la Archibugi definisce “un unico flusso di avvenimenti su piani sfalsati” è poco agevole per i continui rimbalzi tra presente, passato prossimo e passato remoto per poi scoprire che anche il presente è passato e siamo già nel futuro; più semplice seguire il flusso emotivo del protagonista, dal suo amore per Luisa, fil rouge che segnerà tutta la sua vita, dalle estati nella villa sul mare al ritorno in città, tra amori sbagliati, matrimoni e rimpianti, al suo legame con i genitori, dal rapporto con il fratello e la sorella a quello con l’amico iettatore, dal matrimonio fallito con Marina all’amore per la figlia Adele e poi a quello per la nipotina Mirai. Il colibrì è Marco, soprannominato così per il suo essere minuto da bambino ma che rappresenta anche il suo modo di essere: legato al suo habitat, di cui conosce ogni sfumatura, e alla famiglia, schivo, solitario; ma anche un sognatore pratico ed onesto, capace di amare platonicamente la stessa donna per anni per non tradire la moglie. Ma non è tradimento più grave quello del cuore rispetto a quello fisico? A volte un taglio netto fa meno male del vivere in un castello costruito sulle bugie, ma sarà Marina a prendere l’inevitabile decisione ed allontanarsi. Marco resta sospeso in un tempo indefinito mentre la vita scorre ed i personaggi si susseguono intorno a lui; Marco bambino, ragazzo, uomo, padre, nonno, si sovrappongono e si scompongono come un puzzle che si riforma continuamente, mentre ciascun incontro, ogni episodio, rappresenta un fermo immagine nella storia; dal primo bacio con Luisa all’incontro con la moglie Marina, dalla lite con il fratello Giacomo alla nascita della nipotina, dal singolare psicoterapeuta interpretato da Nanni Moretti all’amico di gioventù l’Innominabile Duccio (Ceccherini), ogni tassello costituisce un pezzo del mosaico complessivo, che si svelerà completamente alla chiusura del cerchio.
Il colibri è un film da grande schermo; una fotografia curata e ad ampio respiro fa da preziosa cornice al dipanarsi della storia, che nel mettere Marco Carrera al centro, gli fa sfiorare anche tematiche attuali: l’incapacità di affermare i propri sentimenti, l’incomunicabilità che porta al suicidio giovanile, la difficoltà dei rapporti, ma anche il ruolo della psicoterapia ed il confine del segreto professionale, la malattia terminale, il gioco d’azzardo, la normalità della famiglia multietnica, il diritto ad una morte dignitosa. Un film che, in fondo, non rappresenta una vera novità nei temi e nella rappresentazione dei sentimenti; ma è comunque una carezza al cuore in questi tempi bui.
Michela Aloisi