La crisi dello scrittore
Difficilmente un cineasta del calibro di Christian Petzold delude. Ormai di casa alla Berlinale, infatti, il regista di Hilden torna in concorso alla 73° edizione del Festival di Berlino con il suo Afire (per l’uscita italiana Il cielo brucia), seconda parte di una trilogia iniziata nel 2020 con Undine, che tratta i temi dell’amore, del non riuscire a trovare una propria pace interiore e della difficoltà a relazionarsi con il mondo che ci circonda. Come di consueto, dunque, anche in questa occasione ci troviamo davanti a un prodotto complesso, stratificato e fortemente simbolico, in cui l’essere umano viene messo costantemente in primo piano, per una profonda e mai banale riflessione sui sentimenti.
La storia messa in scena, dunque, è quella di Leon (un ottimo Thomas Schubert) e Felix (Langston Uibel), due amici di vecchia data che decidono di trascorrere l’estate insieme a casa di quest’ultimo, sulla costa baltica. Leon deve a tutti i costi finire di scrivere il suo secondo romanzo, il suo editore verrà a trovarlo a breve. Felix, invece, deve finire di preparare il suo portfolio per presentare la domanda di ammissione presso un’accademia di belle arti. Una volta giunti a casa, i due scopriranno che una delle stanze è già occupata da Nadja (Paula Beer), nipote di una collega della madre di Felix. A loro si aggiungerà anche Devid, che lavora come bagnino presso una vicina spiaggia. Mentre tutti sembrano divertirsi e aver trovato una buona armonia, Leon sarà sempre di pessimo umore, avendo difficoltà a finire il suo libro e non riuscendo a integrarsi con il suo gruppo di amici.
Afire, dunque, è l’immagine di un’estate decisiva per i protagonisti. Probabilmente l’ultima estate prima di “diventare adulti”. La casa in cui i ragazzi si trovano è completamente immersa nel verde, a due passi dal mare. Nonostante il villaggio vicino, sembra quasi isolata dal resto del mondo, un piccolo paradiso terrestre. Ma qualcosa non va. E infatti, spesso, quando si fa sera, il cielo si tinge di rosso: nel bosco intorno al villaggio continuano a scoppiare incendi. Il dramma è alle porte, ma, nel frattempo, Christian Petzold ci regala sane risate mostrandoci il “dramma” personale di Leon (grazie anche alla bravura di Schubert).
Il processo creativo, l’auto-isolamento dal resto del mondo, l’incapacità di osservare la realtà che ci circonda e di ascoltare gli altri. Leon è in costante crisi, non riesce a lasciarsi andare, è spesso scontroso. Il suo libro – a detta di Nadja e del suo stesso editore – è, purtroppo, brutto. Le cose sembrano non riuscire mai a prendere una svolta decisiva, fino a quando, almeno, il ragazzo non si rende conto che è arrivato il momento di “aprire gli occhi”.
Non manca, Petzold, in Afire, di inferirci pesanti scossoni emotivi. E benché questo suo ultimo lungometraggio, visivamente parlando, risulti meno potente dei suoi precedenti lavori, ciò che immediatamente colpisce è la grande capacità nell’indagare nell’animo umano. Ancora una volta, il passare del tempo, le relazioni interpersonali, la caducità dei momenti più felici e, soprattutto, un disperato bisogno d’amore fanno da protagonisti assoluti. E sul grande schermo ci arrivano con tutta la loro potenza emotiva.
Marina Pavido