Dio c’è, il demone pure
I lungometraggi sulla possessione diabolica dilagano sul grande schermo. Ulteriore sintomo di un sentimento di paura rivolto verso tutto ciò che si ritiene esterno alle società di appartenenza? Chissà. Sta di fatto che se la distribuzione – in questo caso la Adler – ripesca un’opera datata 2017 rientrante in pieno nella tematica, in tutta evidenza certa di giocare sul sicuro nei confronti di certi timori in ambito spettatoriale.
Due fattori appaiono decisamente interessanti prima della visione di questo Crucifixion – Il male è stato invocato, come recita lo zelante (ma non del tutto impreciso, nell’occasione) titolo completo italiano. In primo luogo il nome di Xavier Gens dietro la macchina da presa. Iscritto d’ufficio alla nuova vulgata francese dei registi tutto “sangue e disperazione esistenziale” con il notevole Frontière(s) (2007), Gens è poi passato ad esplorare generi differenti rimanendo però fedele alla propria natura di regista orientato all’horror. Come testimonia l’ottimo e coevo Cold Skin (2017), storia di creature mutanti e umanità derelitta in buon equilibrio tra fantasy e angosce molto profonde. Secondo aspetto capace di suscitare buone premesse il fatto che Crucifixion parta da un fatto di cronaca realmente accaduto in Romania nel 2005, quando una giovane suora morì nel bel mezzo di un prolungato esorcismo a causa delle vessazioni – fu messa, tra l’altro, letteralmente in croce – subite da un sacerdote e quattro “colleghe”. In più il film è girato in modo classico senza l’abuso di un point of view che pare ormai già aver fatto, per fortuna, il proprio tempo. Tutto bene, insomma. Anzi no. Anche perché, dando per scontata l’inarrivabilità del modello intitolato L’esorcista di sua maestà William Friedkin (1973), si sarebbe potuto sperare in un buon film dell’orrore quanto meno viscerale nel mostrare causa ed effetti della possessione. Al contrario Gens gira, con svogliata cura formale, un lungometraggio quasi del tutto privo di momenti forti e con un dosaggio minimo di jump scare, peraltro molto prevedibili. Peccato comunque quasi veniale al confronto di una sceneggiatura – scritta dai televisivi Chad e Carey W. Hayes – che in diversi frangenti sembrerebbe essere stata commissionata addirittura dal Vaticano stesso, con la religione cattolica a fungere da unico, possibile, ostacolo nei confronti del “terribile” demone Agares, capace nientemeno che di trasferirsi di corpo in corpo come in un qualsiasi B movie fantascientifico del tempo che fu.
Tutto, insomma, molto déjà vu, con la solita giovane giornalista rampante, per l’occasione in trasferta dagli Stati Uniti, in cerca di verità indicibili – ma quasi tutti i locali rumeni hanno nel film una gran voglia di parlare del fatto – al posto delle quali s’imbatterà in guai davvero grossi. Anche perché, se non credi in Dio e vieni da un trauma recente – la scomparsa della madre, nella fattispecie – allora diventi un vulnerabile bersaglio del demone in questione. Ovvio, no? Un sommo pasticcio risolto poi da un epilogo che definire sbrigativo è quasi un eufemismo. E se la volenterosa Sophie Cookson di Kingsman – Secret Service (dove impersonava Roxy) ce la mette tutta per rendere credibile la faccenda sia pur con esiti non esattamente positivi, c’è da sperare che Gens non sia transitato, mediante questo film anonimo come pochi altri nel sottogenere esorcistico, nella folta schiera dei mestieranti buoni per ogni occasione. Non sarebbe il primo e, purtroppo, nemmeno l’ultimo, tra le precoci promesse destinate ad una carriera scandita da mere motivazioni alimentari.
Daniele De Angelis