Ai confini del mondo
Quasi a introdurre note epiche, romanzesche, in un contesto dall’evidente connotazione fantasy/horror, Cold Skin si rivela sin dalle primissime inquadrature un’opera cinematografica decisamente sopra la media, che si nutre tanto della cinefilia onnivora dell’autore che di un’ambientazione così peculiare, a suo modo estrema, per riversare poi tutto ciò in una terrificante riflessione sulla natura umana. Siamo partiti sottolineando, tra le altre cose, l’eccezionale cornice ambientale. Il film del francese Xavier Gens, uno dei migliori visti a Trieste nel corso di Science + Fiction 2017, è stato girato in zone paesaggisticamente superbe, impressionanti, quali possono essere certe spiagge vulcaniche di Lanzarote, l’isola forse più selvaggia delle Canarie, come anche alcune location pescate nella remota Islanda. Scelte davvero ottime, queste, che hanno reso maggiormente credibile la trasposizione dell’apprezzato romanzo d’esordio (datato 2002) del catalano Albert Sánchez Piñol, antropologo e scrittore capace di personalissime riletture dell’immaginario fantastico il quale ha raccolto successi notevoli a livello internazionale, non solo nei paesi di lingua spagnola.
Avere a disposizione un set adeguato, nella sua solitaria asprezza, era del resto la conditio sine qua non per ancorare a sfondi il più possibile credibili le vicende del romanzo, originariamente ambientato in un isolotto inospitale nell’Atlantico meridionale, non lontano dalla regione Antartica. Uno di quei posti, insomma, in cui le navi specie un tempo attraccavano di rado. Ed è presso il faro posto a presidio di un paesaggio così brullo, respingente e desertico, che vediamo presentarsi il nuovo metereologo, un uomo dal turbolento passato, scortato dall’equipaggio di una delle rare imbarcazioni che fanno rotta da quelle parti. Ma l’uomo che dovrebbe sostituire non si trova più là. In compenso c’è Gruner, un custode del faro diffidente ed incredibilmente abbrutito che all’inizio non farà molto, volendo usare un eufemismo, per rendere più confortevole la permanenza del nuovo arrivato. Anzi, si può tranquillamente dire che solo quando si vedrà messo alle strette accetterà di collaborare con lui, per organizzare una strenua difesa contro quella minaccia che è anche uno dei più terrificanti segreti dell’isola: le periodiche incursioni notturne di orde composte da umanoidi adattatisi nella loro evoluzione a vivere nelle gelide acque circostanti, creature anfibie apparentemente incontrollabili e pronte a massacrare gli sporadici visitatori di quell’eremo solitario…
Ma anche Gruner ha un segreto: Aneris, creatura da lui catturata e separata dal branco, con la quale si è instaurato col tempo un morboso rapporto all’interno del quale sottomissione, reciproca curiosità e istinti di natura sessuale sono andati a mescolarsi pericolosamente. Solo che l’esasperato Gruner è ormai incapace di cogliere i sempre più evidenti indizi di umanità nella creatura, mentre il giovane metereologo saprà andare poco alla volta oltre le apparenze e l’iniziale terrore.
Come si sarà forse già intuito, lo script di Cold Skin possiede uno spessore e delle stratificazioni per niente comuni, anche rispetto al genere di riferimento. E la grande bravura di Xavier Gens è stata, a livello registico, saper assicurare uniformità al lungometraggio pur inglobando tutte le possibili suggestioni cinematografiche e letterarie offerte da una simile traccia, a partire dall’immancabile richiamo a Lovecraft per arrivare a quel senso dell’avventura in condizioni estreme, che, vedi anche le magnifiche sequenze subacquee, può ricordare persino il mondo di Verne e più in particolare Ventimila leghe sotto i mari.
L’eclettismo di un autore che con Frontiers aveva già prodotto in noi un certo entusiasmo sta diventando ormai un dato di fatto, così come la sua capacità di approcciare il genere da angolazioni diverse e per nulla scontate. Finora Cold Skin è a nostro avviso il suo film più compiuto. Notevole ad esempio l’introspezione dei personaggi principali. Il carattere così ferino, violento, spietato dei confronti armati con le creature, eventi sempre rappresentati nelle ore notturne, lascia poi il margine per instaurare di giorno un possibile dialogo, uno spazio di riflessione, del quale solo uno dei due protagonisti saprà approfittare veramente.
Stefano Coccia