Il (poco) misterioso caso del chitarrista scomparso
Se al giorno d’oggi il verbo apparire coincide con l’essere, allora scomparire del tutto può diventare una buona idea per attirare una certa attenzione su di sé. A questo deve aver pensato il talentuoso chitarrista Martino Piccione (un apprezzabile Beppe Fiorello in recitazione trattenuta), puntualmente messo in ombra dalle star con le quali suona nei vari concerti. Tornato nella natia Puglia e guardando un programma simil “Chi l’ha visto” viene folgorato dall’intuizione che, scomparendo dalla scena reale, possa davvero raggiungere quella fama tanto agognata. Con l’aiuto dell’amico fraterno Peppino Quaglia (Pierfrancesco Favino, ovviamente perdigiorno caciarone come controparte comica insegna. Notare comunque la “fantasiosa” abbinata linguistica Piccione + Quaglia), ciò avviene; ma ogni azione, come si sa, presenta qualche effetto collaterale imprevisto, anche se non imprevedibile.
Parte da uno spunto tutt’altro che malvagio, Chi m’ha visto, opera d’esordio alla regia dello scrittore e sceneggiatore Alessandro Pondi. Fotografia semiseria di un trend, quello della venerazione dell’immagine di superficie, che appare ormai da decenni totalmente irreversibile, anche per demerito delle nuove tecnologie. Campanelli d’allarme scattano scorrendo l’elenco dei lavori passati di Pondi, tra i quali si trovano cose come i cinepanettoni Natale a Beverly Hills (2009) e Natale in Sudafrica (2010), sia pure elaborati in numerosa compagnia danzante. Ma anche Poli opposti di Max Croci non è che rialzi più di tanto il grado di aspettativa nei confronti del lungometraggio in questione. Timori che vengono puntualmente confermati da una commedia che avrebbe potuto approfondire tanti aspetti, dal buddy movie di tradizione hollywoodiana – e l’accoppiata Fiorello/Favino, in quest’ottica, non funziona affatto male – alla satira corrosiva nei confronti della strapotere del medium televisivo, da molto tempo organo deputato a manovrare destini personali al cinema. Almeno fino a quando non entrerà prepotentemente in scena il Grande Fratello del web. Ad ogni modo, per non tradire il proprio background per l’appunto prettamente televisivo, Pondi si rifiuta di sputare nel piatto dove ha mangiato, limitandosi a confezionare un ritratto persino affettuoso di un’esistenza vissuta sin lì ai margini del successo, attraverso una parabola che vorrebbe impartire una qualche morale ma che raggiunge solo un epilogo esageratamente moralistico e buonista. In mezzo qualche sequenza riuscita – Piccione che dal suo buen retiro schitarra in aperta campagna con un look da star simile a Mark Knopfler, immaginando folle oceaniche ad adorarlo – e star musicali impegnate in divertiti cameo, tipo Jovanotti, Elisa, Gianni Morandi, Edoardo Bennato e persino Gigi D’Alessio. Un’amena favoletta arricchita, si fa per dire, da personaggi scontati come la solita prostituta, stavolta cubana, dal cuore d’oro destinata, nello zuccheroso e posticcio finale, a far capitolare i sentimenti del nostro eroe.
Se qualcuno, in memoria dei periodi migliori della commedia nostrana, cercasse in Chi m’ha visto qualche isolata traccia di cattiveria verso un ipotetico italian way of life 2.1 avrebbe certamente sbagliato film. Al contrario gli amanti dell’omologazione più assoluta tra televisione – inteso come modus operandi generalizzato che possiede l’implicito imperativo di smussare ogni possibile asperità – e quel che resta del cinema resteranno abbastanza soddisfatti: bravi attori principali, figurine retoriche scontate ma in parte (Sabrina Impacciatore che rifà il verso alla sua omonima Ferilli del recentissimo Omicidio all’italiana di Maccio Capatonda) ed inevitabili macchiette tipo il sacerdote dalle movenze gay e la passione per il canto durante la messa. Basterà forse a conquistare una più o meno piccola fetta di spettatori al botteghino, non certo a fare di Chi m’ha visto un film da vedere.
Daniele De Angelis