Siamo come il mare e la montagna
Se è vero che gli opposti si attraggono come nel caso dei protagonisti del film del quale ci apprestiamo a parlare, allora evidentemente qualche eccezione alla regola esiste. Se loro, come nella migliore delle tradizioni, finiscono infatti con l’innamorarsi dopo un’iniziale ostilità, al contrario coloro che ne osservano il passionale percorso di avvicinamento, ossia lo spettatore pagante che sceglie di oltrepassare la soglia della sala di turno dove la pellicola è in programmazione, contro qualsiasi legge della fisica non saranno soggetti al medesimo destino. Poli opposti di Max Croci, nei cinema a partire dall’8 ottobre in trecento copie con 01 Distribution, riesce a invertire il flusso magnetico della calamita respingendo da sé il fruitore con tutta una serie di limiti ai quali non riesce a sopperire. Limiti, questi, che sono piuttosto palesi e vanno attribuiti in primis alla fase di scrittura, fase in cui nemmeno l’orda di sceneggiatori assoldati (ben otto) per mettere su carta il racconto è riuscita a porre rimedio. In effetti è la pochezza e la fragilità dello script a innescare una vera e propria reazione a catena che manda a picco la nave e tutto ciò che ospita, a cominciare dalla drammaturgia per finire con i personaggi. Per cui salvare qualcosa o qualcuno dal naufragio è impresa ardua, anche chi avrebbe avuto tutte le possibilità per uscirne indenne, come ad esempio Max Croci, che con la sua carriera da cortista aveva ben figurato portando a casa una serie di importanti riconoscimenti.
In Poli opposti ci porta al seguito di Stefano Parisi (Luca Argentero) e Claudia Torrini (Sarah Felberbaum), un uomo e una donna che fanno due lavori che non potrebbero essere più distanti: terapista di coppia lui, avvocato divorzista lei. Lei separa le coppie, lui cerca di tenerle unite. Insomma, sono come il mare e la montagna. Al momento l’amore non è al centro dei loro pensieri, ma è innegabile che sia al centro delle loro vite. Il Dottor Parisi ripara matrimoni in crisi, ma ha appena lasciato la moglie, Mariasole (Anna Safroncik), e consumato il distacco anche dall’ingombrante suocero, il Dott. Beck (Tommaso Ragno), famoso psicologo e irriducibile narciso. Claudia, mamma single del piccolo Luca (Riccardo Russo), è l’implacabile Avvocato Torrini, il peggiore degli incubi per i mariti delle sue clienti. Ne sarebbe terrorizzato persino suo fratello Alessandro (Giampaolo Morelli), bugiardo seriale e sfrontato marito di Rita (Elena Di Cioccio), ormai rassegnata alla gelosia. I due si renderanno presto conto che, forse, è inutile lottare contro le leggi della fisica.
Il plot sembra scritto proprio su misura per Max Croci, lui che già con molte delle sue produzioni brevi si era avventurato con discreti risultati nella commedia sentimentale. La lunga distanza è un’altra cosa e i rischi di farsi male sono quadruplicati. Ed è quanto puntualmente accade alla sua opera prima. Questo il regista e i produttori della Rodeo Drive lo sanno benissimo, per cui per tamponare il più possibile le falle si sono rivolti a figure note del panorama nostrano per vestire i panni dei due protagonisti, ossia Argentero e Felberbaum, ma non sono le belle facce, i nomi e a volte nemmeno la bravura a tenere in piedi la baracca. Probabilmente faranno vendere qualche biglietto in più al box office, ma ciò che resta alla fine è un film mediocre. Loro si sforzano di essere credibili, a tratti ci riescono, ma è l’operazione nella sua interezza a non funzionare. La scarsa originalità in un progetto che, viste le caratteristiche e le fondamenta drammaturgiche sulle quali queste vengono erette, non è in questo caso una mancanza, piuttosto una scelta ben precisa. Poli opposti e tutta la sua architettura, stilistica e narrativa, si reggono su un omaggio dichiarato alla commedia sentimentale classica e sofisticata hollywoodiana, ai suoi illustri esponenti e ai suoi ingredienti principali. Il regista, grande amante del suddetto filone, prende in mano lo script e se lo cuce addosso, provando tra una citazione e l’altra ad attuare in chiave contemporanea le vicende e i personaggi che le animano. Ma il lavoro in questa direzione è minimo, quasi intangibile. Del resto, se si punta sul modello della screwball comedy a stelle e strisce cosa vuoi inventarti se non il giocare sull’immancabile “guerra dei sessi” e sulle schermaglie amorose dei protagonisti di turno. La prevedibilità degli eventi e gli sviluppi dei personaggi è la fisiologica conseguenza del rivolgere lo sguardo al suddetto modello, ma il problema più grande è che nei personaggi non ci si immedesima mai e soprattutto che si ride solo a singhiozzo.
Francesco Del Grosso