Il mistero del polpettone assassino!
Marcello Macchia, in arte Maccio Capatonda, è tornato sul grande schermo e con lui tutta la sua brigata di “fuori di testa”, con qualche new entry di peso nel cast a rinforzarla. Sono trascorsi due anni da Italiano Medio, ma la carica irresistibile della comicità nera del tuttofare abruzzese non si è andata esaurendo, perchè di cartucce da sparare contro il Bel Paese a quanto pare ne ha ancora moltissime. Nella sua opera seconda dal titolo Omicidio all’italiana, nelle sale dal 2 marzo con Medusa, il bersaglio contro cui rivolgere la satira feroce del suo fucile a “canne zozze” resta sempre lo stesso, ossia quel cocktail di mali, vizi e brutture, che infettano il cuore e la mente della sua Patria e di chi la popola.
La nuova pellicola di Maccio racconta di uno strano omicidio che sconvolge la vita sempre uguale di Acitrullo, sperduta località dell’entroterra abruzzese. Quale occasione migliore per il sindaco (Maccio Capatonda) e il suo vice (Herbert Ballerina) per far uscire dall’anonimato il paesino? Oltre alle forze dell’ordine infatti, accorrerà sul posto una troupe del famigerato programma televisivo “Chi l’acciso?”, condotto da Donatella Spruzzone (Sabrina Ferilli). Grazie alla trasmissione e all’astuzia del sindaco, Acitrullo diventerà in men che non si dica famosa come e ancor più di Cogne! Ma sarà un efferato crimine o un omicidio a luci grosse?
Chiarissimo e cristallino è il riferimento a tutta una serie di eclatanti casi di cronaca nera nostrana (dalla già citata Cogne ad Avetrana, passando per Novi Ligure e chi più ne ha più ne metta) che hanno riempito di recente le scalette di note trasmissioni televisive e occupato le pagine di tutti i giornali nostrani (e non solo). Tutti i riferimenti più o meno rintracciabili nello script e nella sua trasposizione, nella costruzione dei personaggi e delle loro azioni, dunque, non sono per niente casuali, ma voluti. Allo spettatore il compito di scovarli di volta in volta.
Il bersaglio grosso resta dunque lo stesso, ma non la mira, che stavolta viene rivolta verso altre mostruosità che ci stanno sempre di più avvelenando. Se nel film d’esordio, Capatonda aveva messo alla berlina tutto quello che la Società ha prodotto e partorito negli ultimi decenni, compresa la tele e l’internet dipendenza, il consumismo sfrenato oppure il bisogno irrefrenabile di apparire e ostentare ciò che si è o ciò che si possiede, stavolta la vittima designata è la cosiddetta “Tv del dolore”, con tutto il suo carico di orrore, atrocità, “pornografia”, malcostume, bisogno sfrenato di protagonismo, voyeurismo e morbosità, che ne caratterizza da qualche anno a questa parte il DNA. E di conseguenza, nel fuoco incrociato dello humour, della satira e del cinismo politicamente scorretti del regista ci finiscono loro malgrado i drogati e asuefatti telespettatori, l’opinione pubblica, ma soprattutto i mass media, nello specifico quelli che si occupano di cronaca nera e di efferati delitti. Tutti insieme appassionatamente (carnefici, vittime e testimoni) gettati nel calderone, in quel circo mediatico e in quel tribunale che sono diventati i palinsesti del piccolo schermo, nei quali quotidianamente vanno in scena processi sommari ai mostri di turno sbattuti in prima pagina, consumati in veri e propri show d’intrattenimento e non più d’informazione. Il tutto in nome di cosa? Ma dello share ovviamente, con i protagonisti del delitto o del caso di turno, indipendentemente dal “ruolo” occupato e dal grado di coinvolgimento ai fatti, scelti come agnelli sacrificali da immolare sull’altare ad esso dedicato.
Temi, questi, dall’enorme peso specifico, a maggior ragione perché di strettissima attualità, che Capatonda affronta a suo modo e come vedrete senza peli sulla lingua, nel vero senso della parola. Anche in Omicidio all’italiana, Maccio ricorre al trasformismo per entrare e uscire in modalità random da una serie di personaggi che animano lo script. Il medesimo modus operandi richiesto anche alle sue fedeli spalle, a cominciare da Luigi Luciano ed Enrico Venti, meglio conosciuti come Herbert Ballerina e Ivo Avido. Per il resto, gli ingredienti sono la goliardia, la satira, il cinismo, il cattivo gusto e la comicità esasperata e volutamente sopra le righe; marchi di fabbrica ai quali sembra proprio intenzionato a non volere rinunciare. La risata è inevitabile e smisurata, anche se in un quantitativo leggermente inferiore a quella spontanea e fuori controllo provocata dalla visione di Italiano Medio. Merito della capacità dell’autore e della sua squadra di costruire situazioni al limiti del geniale (la telefonata al 112 dopo il ritrovamento del corpo della vittima, la simulazione dell’omicidio della Contessa, le apparizioni di Sanceppato, il tentativo di rimorchio al centro commerciale, il controllo al posto di blocco). Ma questo non andate a dirlo a quegli spettatori bacchettoni e con la puzza sotto il naso che non vogliono ammetterlo; che poi sono gli stessi che riescono a negare anche la genialità di Zalone. Peggio per loro.
Francesco Del Grosso