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Asteroid City

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VOTO: 8

Alieni ed alienati

In un mondo ormai basato sulla più totale virtualità, dove per ogni argomento in apparenza incontrovertibile possiedono diritto di esistenza un determinato parere ed il suo esatto contrario, stupisce poco che anche il cinema di Wes Anderson sia diventato “divisivo”.
Il capo d’accusa principale, a leggere le critiche che sono piovute dal concorso di Cannes 2023 al suo undicesimo e al momento ultimo lungometraggio Asteroid City, sarebbe quello che lo stile inconfondibile di Anderson abbia fagocitato storia e personaggi, diventando più o meno gradatamente elemento unico e prevalente di un modus operandi regredito in modalità eccessivamente pigra nei contenuti. Vediamo.
Certamente corrisponde a verità il fatto che Wes Anderson, come autore, abbia creato ed imposto uno stile originale nonché immediatamente riconoscibile, diciamo da Rushmore (1998) – suo secondo lungometraggio – in poi, trascurando lo “sperimentale” esordio di Un colpo da dilettanti (1996). Il fatto che l’autore texano si sia, con lo scorrere del tempo, adagiato su un aspetto formale quantomai accattivante nella sua perfezione, è tutto da discutere. Anche in Asteroid City, preso ad esempio negativo dai detrattori assieme al penultimo The French Dispatch (2021), non manca l’introduzione di diverse novità narrative, a partire dall’esplicitazione della finzione nella finzione. Il (non) luogo dove si svolge il film – denominato appunto Asteroid City – risulterebbe infatti dalla diegesi semplicemente l’ambientazione di prova di uno spettacolo teatrale in corso di lavorazione. Un espediente che già in partenza consente a Wes Anderson di immergere i personaggi in un contesto surreale a forte rischio di alienazione. Se poi la sceneggiatura – firmata da Anderson stesso con Roman Coppola – aggiunge il fatto che gli alieni arrivano veramente (nella finzione della finzione, of course) causando il “sequestro” dell’intera comunità ad opera di militari già in loco per oscuri esperimenti bellici, ecco che pure lo sfondo narrativo acquisisce significati ulteriori e non previsti, almeno per un’opera in teoria (negativa) interamente fondata sullo stile del suo regista.
In questa sorta di acquario a cielo aperto ambientato negli anni cinquanta – in realtà uno studio chiuso, come reso evidente da alcune sequenze diegetiche con escursioni fuori dal set – si agitano personaggi benissimo caratterizzati, ognuno alle prese con rilevanti problematiche esistenziali. Dal vedovo con prole arrivato per elaborare in comunione il recente lutto, al nonno ricco e potente fino all’attrice in crisi, Asteroid City racconta di un’umanità alla deriva più autentica della realtà, con sullo sfondo – oltre alla molto presunta minaccia aliena – quella assai più concreta dello spettro nucleare che incombe su ognuno di noi anche al di là dello schermo. Un pericolo che Hollywood, come suo solito, ha previsto ed inglobato, come dimostrano recenti successi tipo Don’t Worry Darling di Olivia Wilde e soprattutto Oppenheimer di Christopher Nolan.
Senza essere costretti a fare la conta dei numerosi momenti del film intrisi di sublime genialità oppure valutare le performance di attori di grido i quali, come di consueto, popolano il cast di Asteroid City (tuttavia merita una menzione speciale la new entry Tom Hanks, nel ruolo di un nonno particolarmente originale) non resta che ammettere, senza alcun tipo di senso di colpa, il sommo godimento che arriva della visione di quest’ultima fatica di Wes Anderson. Un piacere arricchito dall’angoscia della riflessione su un mondo che da tempo ha perduto una bussola orientativa, annaspando senza speranza in una sorta di sottovuoto spinto. Come forma estrema di consolazione ci rimane il cinema di Wes Anderson, che per fortuna sa ancora dove andare a parare. Anche a costo di toccare nervi oltremodo scoperti e lasciare interdetto qualche critico più o meno illustre.

Daniele De Angelis

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