We love each other so much
Per molti il genere musical è la quintessenza del cinema stesso, in quanto partitura combinata di immagini e musica; per altri il musical non regge la sospensione dell’incredulità, base stessa del cinema, in quanto i numeri di canto e danza interrompono ogni logica di verosimiglianza. Vere entrambe le cose, è il paradosso del musical perfettamente compreso da Leos Carax nel suo ultimo film, Annette, che ha aperto il 74° Festival di Cannes. Un film musicale scritto in parole e musica da Ron e Russell Mael della storica band degli Sparks. Annette racconta una storia d’amore intensa che finisce in tragedia, tipica di tanti musical ma anche di opere liriche: quella di Henry, interpretato da Adam Driver, e Ann, che ha il volto di Marion Cotillard. Lui è un cabarettista, lei una soprano: rappresentano due forme di spettacolo e di rappresentazione, il film si dipana con le loro esibizioni. Il loro amore è intensissimo ed è rappresentato dal leitmotiv della partitura sonora del film «We love each other so much». Dalla loro unione nasce una bimba di nome Annette, rappresentata come un grottesco pupazzo animato. Ma la carriera di Henry è nel classico viale del tramonto. Lui diventa nevrotico e violento e in un incidente, a bordo di una nave, uccide la compagna.
Annette è una decostruzione del genere musical e al tempo stesso vuole inglobare, arrivando a ibridarle tra di loro, diverse forme di rappresentazione, dalla stand-up comedy all’opera lirica, comprendendo anche l’animazione di pupazzi con la sua analogia con il teatro dei pupi. Il film prevede continue entrate e uscite dalle rispettive convenzioni, su tutte il momento in cui il palcoscenico teatrale, in cui si svolge l’opera lirica, si apre in una scena che si svolge in un bosco reale, in una rappresentazione naturalistica, passando così dal teatro al cinema. Il cinema che funziona come collante, come forma d’arte che comprende le altre. Potremmo distinguere in Annette parti musicali interne, ovvero quelle delle rappresentazioni nella rappresentazione, nelle riprese degli spettacoli in cui sono impegnati i protagonisti artisti, e le parti della realtà cinematografica, dei protagonisti nella loro vita, sempre rese in chiave di musical. Ma Carax non tiene distinte queste due concezioni, mescolandole spesso. Le diverse forme di rappresentazione segnano anche la drammaturgia del film, gli eventi vengono per esempio inglobati nell’opera lirica man mano che il film vira alla tragedia. E il film comincia con l’apparizione dello stesso regista a una consolle di registrazione, con il gruppo di personaggi, in questo momento ancora attori, non ancora entrati in parte, che poi escono in strada, intonando il motivo «So may we start?». Un incipit enunciativo, tipicamente teatrale, che dichiara il carattere finzionale del tutto e il ruolo demiurgico del regista, il direttore d’orchestra del cinema. Demiurgo primario, di un’opera che prevede burattinai e burattini ovvero la bambina Annette. Nel finale diventerà una bimba reale, come Pinocchio, mentre visita il padre in prigione, che in quel momento, incanutito e dimesso, richiama le sembianze del regista che aveva aperto il film. I figli possono abbattere i padri, le opere d’arte possono vivere anche senza i loro autori.
Con Annette, Leos Carax intende rinnovare strutturalmente il linguaggio del genere musical mantenendone al contempo le caratteristiche principali a partire da una struttura narrativa semplice, non ramificata, concepita per una storia che si diluisce nei numeri musicali. Lo fa solo da un punto di vista quantitativo. Simili riflessioni, simili “meta-rappresentazioni”, opere che si giocano sull’ambiguità tra finzione e vita/cinema, si sono già viste, pensiamo solo a Vanya sulla 42esima strada, Dopo la prova, L’ultimo metrò. E un film giapponese del 1968, Doppio suicidio ad Amijima, del regista Masahiro Shinoda (che qui a Cannes sarà omaggiato nella sezione Cannes Classics) già concepiva ibridazioni tra cinema, teatro kabuki e teatro giapponese di marionette e scenografie che si trasformano in riprese filmate.
Giampiero Raganelli