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Your Honor

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VOTO: 6.5

Follie baltiche, tra Kafka, Dostoevskij e Kaurismäki

Girato in un elegante bianco e nero, Your Honor di Andres Puustusmaa è senz’altro tra i film più bizzarri, stravaganti, che abbiano fatto capolino sugli schermi della 14esima Festa del Cinema di Roma. Nell’arco di un iter narrativo particolarmente picaresco la sua eccentricità riesce sempre a distinguersi, nel bene e nel male.
Senza contare che tanto la demenzialità di alcune situazioni, tanto la classica “transumanza” tra Estonia e Finlandia attraverso il Baltico, alla quale va incontro il protagonista, ci hanno fatto pensare subito a certe pellicole di Aki Kaurismäki, specie le primissime tra quelle realizzate dal geniaccio finnico. Roba alla Calamari Union, per intenderci.

Ciò che invece convince meno di Your Honor è la mescolanza di toni. La parte iniziale dell’ardito lungometraggio, con l’assurdo processo in cui un giudice vanaglorioso (e dalla disastrosa vita privata) decide di non prendere in considerazione una nuova prova in favore dell’accusata, condannando di fatto a un cupo destino tutta la sua famiglia, sembra battere un terreno caro già a Fëdor Michajlovič Dostoevskij. La valenza etica di determinate scelte. L’accumularsi dei sensi di colpa. Il contrasto tra la giustizia divina e quella degli uomini. In questo sostrato si inserisce poi un susseguirsi di eventi, che avrà esiti sempre più surreali, paradossali, kafkiani.
L’austero giudice, infatti, pressato da un parente della donna precipitosamente (e forse ingiustamente) sottoposta a dura condanna, si ritroverà coinvolto a sua volta in un episodio criminale, destinato a sconvolgergli completamente l’esistenza. Preso, in stato confusionale, il traghetto che dall’Estonia porta ad Helsinki, vivrà poi una serie di curiose avventure caratterizzate da incontri e decisioni apparentemente folli. In alcuni di questi siparietti, vedi l’estemporanea epifania notturna del cervo accanto alla macchina, si intravvede purtroppo qualcosa di forzato, gratuito, destinato più che altro a lasciare sbigottito lo spettatore. Altrove Andres Puustusmaa, poliedrico film-maker estone che nel suo paese si disimpegna da anni nei ruoli di regista, attore, docente e fotografo, dimostra di saper sostanziare certi quadretti onirici e da teatro dell’assurdo, aggiungendo al già conturbante apologo quelle derive beffarde e grottesche che lo arricchiscono di significati. E lo strano viaggio iniziatico del giudice finisce così per colorarsi di esperienze che lo spingeranno piano piano a riconsiderare la propria posizione, su tutte l’iperbolico approdo ad un Pugatorio in alta quota, immaginato quale volo di linea i cui passeggeri sono anime in pena dedite al gioco d’azzardo. Altra soluzione drammaturgica alquanto sopra le righe, questa, in cui la parafrasi di talune convenzioni sociali ha buon esito sul grande schermo.

Stefano Coccia

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