La donna che fissa l’uomo che la sta fissando
Sulla scia dei consensi raccolti al Sundance Film Festival, dove è stato presentato in anteprima mondiale, Watcher di Chloe Okuno arriva finalmente anche nelle sale italiane a partire da mercoledì 7 settembre, distribuito da Lucky Red e Universal Pictures International Italy. La pellicola della talentuosa regista californiana, che debutta al cinema dopo una serie di cortometraggi e dopo essersi fatta apprezzare per il segmento da lei diretto dell’antologia horror V/H/S/94 dal titolo Storm Drain, ha fatto molto parlare di sé tra il pubblico e gli addetti ai lavori d’oltreoceano. Il ché è bastato a convincere i distributori a portarlo sugli schermi nostrani, tra l’altro mentre tutti gli occhi sono puntati sul Lido, laddove la Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia è entrata nel vivo della sua 79esima edizione. Una scelta, questa, rischiosa e apparentemente folle, ma che a pensarci bene potrebbe dare degli spazi più ampi e delle occasioni maggiori che altrimenti il post kermesse, da sempre molto affollato di film, non potrebbe garantire.
Non ci resta allora che stare alla finestra a guardare gli eventi per scoprire come si metteranno le cose, la stessa dalla quale la protagonista di Watcher osserva quelli che segneranno il destino suo e degli altri personaggi che popolano il film scritto da Zack Ford e affidato alle mani sapienti della regista statunitense. La sventurata di turno è Julia, una giovane donna, si trasferisce a Bucarest per seguire il marito nel suo nuovo lavoro. Mentre cerca di integrarsi nella nuova realtà, la città viene sconvolta dagli omicidi di un serial killer. Isolata e senza riuscire a comunicare, Julia si lascia suggestionare dagli avvenimenti fino ad accorgersi di essere costantemente osservata da un uomo dal palazzo di fronte. Tra realtà e paranoia, Julia sprofonda in un vero e proprio incubo ad occhi aperti a cui nessuno sembra credere. Nemmeno il marito.
Forse il motivo del successo ottenuto oltreoceano dal film è racchiuso proprio nella sinossi che lo accompagna e in parte dalla messa in quadro che ne deriva. Il solo guardare in quale ginepraio ansiogeno, ossessivo e voyeuristico è costretta a dipanarsi la povera Julia, straniera catapultata in un habitat ostile, isolata dal linguaggio utilizzato oltre che da usi e costumi locali che non le appartengono, ci riporta quasi di default per assonanze furbescamente volute e rievocate tanto al cinema hitchockiano quanto a quello di Roman Polanski. La scrittura prima e la trasposizione poi attingono ai medesimi colori della tavolozza, quelli di un thriller psicologico d’autore con pennellate horror, che gioca con gli stilemi dei generi in questione mescolandoli senza soluzione di continuità mentre sviluppa con attenzione tematiche sociali d’attualità come il gaslighting, lo stalking e l’alienazione. Del resto già il titolo strizza l’occhio ai suddetti riferimenti e immaginari, proiettando la mente a alle poetiche e alle atmosfere del cinema degli illustri predecessori.
Watcher chiama in causa riferimenti alti e temi dal peso specifico rilevante, che sono complessi da maneggiare e sui quali è sempre difficile pronunciarsi senza scivolare nel retorico. L’atteggiamento della Okuno e il suo lavoro dietro la macchina da presa sono quelli di chi non ha timori reverenziali, al contrario si caricano dell’entusiasmo e della spavalderia tipica degli esordienti, quelli che decidono di giocarsi tutto sin dalla prima mano di poker. Dal canto suo dimostra mano ferma e capacità di costruire e gestire la tensione come ad esempio nella scena notturna della metropolitana, per poi farla implodere sullo schermo in un epilogo che è a conti fatti è forse l’anello debole e prevedibile di un film che consapevolmente è tutto tranne che originale. La scrittura e la messa in quadro della cineasta statunitense, elegante ed esteticamente funzionale al racconto, viaggiano all’unisono e compatte verso il già codificato, ossia nella direzione di tutto ciò che lo spettatore è abituato a fruire in termini narrativi e drammaturgici quando si trova al cospetto di pellicole come queste. Watcher e coloro che lo hanno concepito hanno quindi pensato sin dal processo di genesi di cavalcare l’onda e seguire la scia del già visto per avere da subito un dialogo diretto e una linguaggio comune con il quale interfacciarsi con lo spettatore. Il ché da una parte gli agevola il compito e dall’altra glielo complica perché lo rende telefonato e di facile lettura sul piano dei colpi di scena, dello scioglimento di certi intrecci e del già citato finale.
Nota a parte per Maika Monroe, che torna al genere che l’ha resa celebre con l’iconico e acclamato It Follows di David Robert Mitchell, che con la sua performance nei panni di Julia offre una prova convincente ed efficace, rendendo credibile il personaggio e le sue paranoie anche quando il testo non l’aiuta in tal senso.
Francesco Del Grosso