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Un film dramatique

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VOTO: 6.5

Compiti a casa

Non è la prima volta – e probabilmente non sarà nemmeno l’ultima – che una macchina da presa oltrepassa la soglia di un istituto d’istruzione per raccontarne dall’interno le dinamiche e le relazioni umane, vedi ad esempio Scuola in mezzo al mare o Basileus – La scuola dei re. Così come è già accaduto numerose volte che l’auto-rappresentazione, che vuole i soggetti e gli oggetti del racconto filmare ciò che vedono e filmarsi con un supporto messo a loro disposizione dal regista, ha già diversi precedenti extra-scolastici tra cui Waste Land, Selfie o Zigulì. Di conseguenza, esperienze ed esperimenti audiovisivi più o meno simili a quello portato a termine da Eric Baudelaire nel suo Un film dramatique, presentato di recente nel concorso internazionale della 39esima edizione del Filmmaker Festival dopo un fortunato tour che ha toccato tra le altre kermesse cinematografiche prestigiose come Locarno, Toronto e New York, non ha nulla di nuovo e di originale da aggiungere alla causa del cinema del reale.
Detto questo, l’opera del cineasta francese trova i suoi motivi d’interesse più che nell’operazione stessa, nella forma o nel modus operandi utilizzato, nei contenuti che emergono durante la fruizione e nella profonda verità e sincerità che restituiscono i giovani protagonisti, anche quando questi sono chiamati a costruire una messa in scena filmica (vedi la partita di tennis doppiata sulla spiaggia o la scena da tragedia classica nei giardini pubblici). Il tutto ruota intorno a una domanda apparentemente molto semplice: il risulto è un film o un documentario? La questione ritorna nelle discussioni tra gli studenti della scuola Dora Maar, alla periferia di Parigi, dove Baudelaire arriva per un workshop di cinema, e rispetto al metodo più comune – un laboratorio di qualche mese con un saggio finale – propone un’alternativa: lavorare attraverso più anni – che diventeranno quattro – mettendo nelle mani dei ragazzi la macchina da presa. Protagonisti, artefici, allievi racconteranno le proprie storie in una prima persona collettiva. Lo scorrere del tempo è dato dai mutamenti rapidi dell’età – i tratti infantili che si mischiano ai primi foruncoli sulla fronte, i corpi che si trasformano – che coincidono con modi diversi di confrontarsi con la macchina da presa. Dall’aula della scuola entriamo nelle case, ascoltiamo i loro pensieri sulla Francia attraversata dalla violenza – gli attentati, il razzismo – e i sogni per il loro futuro mentre prende forma un’immagine dell’adolescenza lontana dalla letteratura e dallo sguardo adulto, mai generalizzata né esplicativa.
L’auto-rappresentazione sostenuta dall’oggettività della macchina da presa stretta tra le mani di Baudelaire crea un ritratto polifonico, caratterizzato da una moltiplicazione riuscita dei punti di vista. Un dentro e fuori, mescolato alla raccolta corale e singola di testimonianze frontali o di pura osservazione, che genera a sua volta un film nel film che fa del POV il motore portante e delle argomentazioni trattate che non riguardano solo l’ambito scolastico ma allarga lo spettro all’esterno (dal terrorismo alle differenze tra classi sociali, dalla diffidenza nei confronti dell’altro, passando per la religione e la famiglia) il baricentro narrativo. Di contro la durata, che vede la timeline di Un film dramatique sfiorare le due ore piene, appesantendo la fruizione con una serie di situazioni fotocopia che si ripetono.

Francesco Del Grosso

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