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Umbra

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VOTO: 6

Orrori all’ospedale e in famiglia

Soprattutto quando approcciano l’horror o il thriller, i cortisti iberici rivelano una maestria e una conoscenza del genere che scarseggia, a volte, ad altre latitudini. Oltre a quella invidiabile “capacità di sintesi”, che li porta a condensare atmosfere e storie efficaci in pochi minuti. Talora capita anche che alcuni di questi cineasti sappiano confermare simili qualità, nel passaggio dal corto al lungometraggio: vedi il caso di un enfant prodige come Alejandro Amenábar (cileno di nascita, spagnolo d’adozione), il cui folgorante film d’esordio Tesis (1996) arrivò ad appena 24 anni dopo che aveva già sfornato svariati cortometraggi di discreta fattura, nella fattispecie La cabeza (1991), Himenóptero (1991) e Luna (1995).
Anche al Monsters – Fantastic Film Festival 2024, come nella maggior parte delle kermesse festivaliere orientate verso il fantastico, non poteva quindi mancare qualche opera di provenienza iberica. Nel caso di Umbra, però, l’impressione è che Pablo Otero, pur possedendo a livello registico una mano felice, non sia riuscito a gestire del tutto le potenzialità di questo breve racconto cinematografico. Lacune che in filigrana si possono intuire, volendo, anche dalla breve nota di regia da noi intercettata: “Sono molto soddisfatto di Umbra come cortometraggio; l’idea era quella di raccontare una storia significativa all’interno di un contesto spaventoso, e credo che ci siamo riusciti. A parte la trama vera e propria, sono estremamente orgoglioso di altri aspetti come la direzione della fotografia, il missaggio del suono, ecc.

Pablo Otero, che di corti ne realizza con successo sin dal 2004 ma che è stato poi impegnato, dal suo trasferimento a Londra nel 2013, principalmente in qualità di tecnico degli effetti visivi per produzioni importanti come Alien: Covenant, Alita: Battle Angel, Avengers: Endgame, The Mandalorian: Stagione 3 e La sirenetta, dimostra anche qui di padroneggiare egregiamente tecnica e linguaggio cinematografico, approcciando in compenso contenuti e ritmo della narrazione in modo un po’ superficiale.
Cosa ci mostra l’autore nei dieci minuti di scarsi di Umbra? Innanzitutto la paura di una ragazzina nel corridoio di un ospedale deserto, di notte. Un luogo cioè fortemente archetipico per l’horror. E Pablo Otero si diverte a riempire questo vuoto con ombre inquietanti, sinistre apparizioni, alternanze di luce e oscurità foriere, come d’ordinanza, di qualche attimo di terrore. Dopo l’arrivo della madre, assai provata, avendo partorito un bimbo da poche ore, e superata l’iniziale incredulità della donna, scopriremo che quelle spaventose presenze hanno a che fare sia con torbidi, luttuosi trascorsi famigliari che con un incauto gesto della ragazzina stessa…

Riassumendo, dove riesce e dove mostra i suoi limiti, il lavoro del cineasta iberico? Da un lato egli sa preparare bene l’atmosfera e rendere insopportabilmente ansiogeno uno spazio già così opprimente di suo, dall’altro tenta pure di costruire un background di madre e figlia, che in linea con un certo horror psicologico in voga oggigiorno crei spessore intorno alla situazione angosciante da loro sperimentata. Il problema è che queste due tonalità limitrofe ma diverse funzionano, in scena, un po’ a compartimenti stagni. Se i momenti di terrore puro si manifestano col classico jump scare, con le attese snervanti, attraverso la fotografia cupa, le scene in cui madre e figlia cominciano a comunicare sul serio, riguardo al tetro passato della loro famiglia, si staccano troppo dal resto, complici certe variazioni della colonna sonora piuttosto melense che danno risalto all’interiorità dei personaggi, finendo però per spezzare eccessivamente la tensione fin lì accumulatasi. Manca perciò un po’ di equilibrio, in questa pillola orrorifica girata con uno stile accattivante ma a ridosso di una traccia narrativa, come lo stesso autore ha implicitamente ammesso nel suo commento, non sufficientemente strutturata.

Stefano Coccia

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