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Alita: Angelo della battaglia

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VOTO: 6.5

Nata per combattere

Scorrendo l’affollato palinsesto cinematografico del 14 febbraio, pieno zeppo di commedie e drammi sentimentali che ruotano intorno alla nascita o alla perdita dell’amore e alle sue felici o dolorose conseguenze, viene da chiedersi il perché la 20th Century Fox abbia scelto proprio il giorno di San Valentino per portare sugli schermi nostrani un film come Alita: Angelo della battaglia. Per chi non lo sapesse, trattasi dell’adattamento che Robert Rodriguez, sotto le ali produttive di James Cameron e Jon Landau, ha realizzato dall’omonimo e celebre manga scritto e illustrato da Yukito Kishiro nel 1990. Oggetto dell’immancabile percorso crossmediale che ha visto dall’anno della pubblicazione sino ad oggi il manga diventare la punta dell’iceberg di quello che siamo soliti chiamare franchise, con all’attivo una serie animata e un videogioco, ecco arrivare nelle sale la tanto attesa trasposizione per il grande schermo firmata dal cineasta texano. Ambientato nel 26° secolo, il film segue la storia di Alita, un cyborg che viene scoperto in un deposito di rottami dal dottor Daisuke Ido. Senza alcun ricordo della sua vita precedente, fatta eccezione per l’incredibile addestramento nelle arti marziali memorizzato dal suo corpo, Alita diventa una spietata cacciatrice di taglie, sulle tracce dei peggiori criminali del mondo.
Dunque, cosa può mai c’entrare una storia simile e più in generale una pellicola come questa con la festa degli innamorati? Cosa può avere spinto la distribuzione a scegliere la data in questione per l’uscita nelle sale di un fanta-action che racconta le avventure marziali dell’ennesimo angelo sterminatore a caccia di vendetta e alla ricerca della propria identità? Per chi fosse a completo digiuno di ciò che il fumettista nipponico ha raccontato e mostrato sulle pagine del suo fortunato manga, la risposta ai suddetti quesiti la forniamo noi, senza ovviamente spoilerare ciò che il menù del film intende offrire alle platee di turno. Nel corso della timeline era inevitabile che lungo il suo percorso di (ri)scoperta la protagonista si imbattesse nell’amore per un essere umano, nel suo caso Yugo, un giovane ladruncolo di colonne vertebrali che si aggira per la città Discarica, e che nutre il sogno di raggiungere Salem. Insomma, il primo amore di Alita. Quindi è la linea sentimentale innestata da Yukito Kishiro nella matrice originale, ripresa fedelmente dagli sceneggiatori James Cameron e Laeta Kalogridis in fase di adattamento, la risposta che tanto cercavamo.
Ciò che scorre davanti agli occhi del fruitore è a conti fatti un martial arts action inglobato in uno Sci-Fi ambientato in una metropoli immaginifica di un futuro dispotico (per la precisione corre l’anno 2563), dove umani e androidi, prede e cacciatori di taglie, lottano per la sopravvivenza all’ombra di una città sospesa nell’aria che tutti gli abitanti di sotto aspirano un giorno a raggiungere. Ma l’unico modo per raggiungerla è mettere in discussione e scontrarsi con l’ordine naturale delle cose che vuole gli androidi di turno darsele di santa ragione nello sport nazionale, ossia il Motorball, una corsa mortale in un circuito a bordo di pattini ultra high-tech e armati fino ai denti. La vittoria del torneo è il lasciapassare per la meta tanto agognata, ma anche la risposta a tutte le domande che frullano nel cervello della protagonista. Nel mentre la più classica delle amazzoni cibernetiche, veloce, forte e letale, se la dovrà vedere con suoi simili, con il suo passato e con i sentimenti, quelli che decenni logorano il fegato e il cuore di scrittori e registi di fantascienza: può un robot amare un umanoide? Alita: Angelo della battaglia ovviamente non può esimersi dall’affrontare il discorso e lo fa senza distaccarsi nemmeno un millimetro da come è stato affrontato innumerevoli altre volte, alle varie latitudini, sullo schermo quanto sulle pagine di un romanzo o in una striscia di un fumetto. Ecco allora che anche qui la cyber love-story come da tradizione prende forma e nemmeno questa volta se ne è potuto fare a meno, anche se nelle due ore e passa di film le emozioni ad essa legate fluiscono con il contagocce rispetto alla materia prima messa a disposizione dal manga.
Ma a parte questo tallone d’Achille, il live action di Rodriguez, quest’ultimo sempre a suo agio quando si tratta di dare vita audiovisiva alla materia fumettistica (vedi i due capitoli di Sin City) e tirare le mani (El Mariachi, Machete e simili), meno quando si diverte a realizzare operazioni videoludiche di discutibile riuscita (la serie di Spy Kids), regala una combinazione davvero riuscita di motion capture e attori in carne ed ossa, con l’Alita costruita sulla pelle di Rosa Salazar e un cast di nomi di peso (Christoph Waltz, Jennifer Connelly, Ed Skrein, Mahershala Ali) a impreziosire il tutto. Cameron in veste di faro e il collega texano al timone fanno dell’integrazione al limite della perfezione tra tecnologia, VFX e fattore umano, un biglietto da visita di grande effetto (c’è da aspettarsi una trilogia visti gli sviluppi), capace di introdurre lo spettatore in un mondo dal design non originale e chiaramente costruito su un immaginario riconoscibile e codificato come quello di Blade Runner (e cloni). Pigrizia a parte nel non volere ricercare una propria strada scenografica, al contrario la restante ampia fetta di confezione è di altissimo livello, supportata da un 3D che rende l’esperienza visiva coinvolgente e immersiva, in primis quando dalle parole si passa ai fatti e sullo schermo si palesano adrenaliniche scene d’azione che da sole valgono il supplemento sul prezzo del biglietto (dal tutti contro una nel bar al combattimento di Alita nel sottomondo, passando per il primo faccia a faccia tra Alita e i braccatori).

Francesco Del Grosso

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