Punto di non ritorno
Se con film come Uniform e Night Train aveva attirato su di sé l’attenzione degli addetti ai lavori, per poi conquistarli con il successivo Black Coal, Thin Ice, Orso d’Oro alla Berlinale 2014, con The Wild Goose Lake (in Italia Il lago delle oche selvatiche) Diao Yinan ha fatto definitivamente breccia nei cuori di tutti, il nostro compreso. Presentata a Cannes 2019, l’ultima fatica dietro la macchina da presa del cineasta cinese ha lasciato il segno anche alla 29esima edizione del Noir in Festival, laddove è transitato nel concorso della kermesse comasco-milanese prima dell’uscita nelle sale italiane con Movies Inspired.
The Wild Goose Lake ci scaraventa al seguito di un gangster in fuga, braccato dopo aver ucciso per sbaglio un poliziotto durante un regolamento di conti fra bande di ladri di motociclette, che decide di farsi denunciare dalla moglie per permetterle di riscuotere la taglia sulla sua testa. Al posto della sua donna, però, all’appuntamento si presenta una sconosciuta, una “bagnante” che lavora come prostituta sulle spiagge del lago delle oche selvatiche e che lo aiuta a mettersi in salvo dalla polizia. La ragazza è disposta a tutto pur di riconquistare la sua libertà. Entrambi sono giunti al punto di non ritorno e affrontano insieme l’ultima sfida per la sopravvivenza.
Sfida che si traduce in una caccia all’uomo spietata e asfissiante che si consuma tra i vicoli notturni e gli anfratti di una città avvolta in una notte scura come la pece, battuta costantemente dalla pioggia e tagliata a fette da fasci di luce al neon. E sono proprie le atmosfere ansiogene e opprimenti nelle quali si muovono come topi in gabbia i due protagonisti, la cornice di un film che stritola lo spettatore nella morsa di una tensione latente pronta a deflagrare sullo schermo in un epilogo che nel bene e nel male appare come una liberazione per chi vive e per chi guarda.
Yinan compie un vero e proprio miracolo con una pellicola che riesce a mescolare senza soluzione di continuità due generi e due mondi sulla carta lontani anni luce. E lo fa con una facilità disarmante. In The Wild Goose Lake, l’autore incrocia il DNA del noir occidentale con la ricerca del romanticismo dei wuxia cinesi. Da quest’ultimo prende l’enfasi della poetica e dell’estetica, mentre dal primo l’accento sul destino (o sulla sua accettazione), sull’oscurità (la notte e la corruzione della società) e sul desiderio. Non ci sono lame, spadaccini e corpi a corpi marziali, perché a parlare sono i proiettili e le regole non scritte di una violenza contemporanea che non risparmia niente e nessuno. Il regista è straordinario nel restituire questa sensazione di costante accerchiamento di un uomo braccato e al contempo riflettere la complessità della natura umana e del suo lato oscuro. E in effetti il film è popolato da anti-eroi schiacciati dai loro difetti, dalle fragilità e dalle paure.
Cinema di genere e d’autore trovano qui terreno comune e fertile per coltivare il seme di un’opera che darà frutti dal gusto intenso e deciso, di quelli che difficilmente si possono dimenticare, così come la scena del lunghissimo inseguimento notturno che precede l’epilogo che da sola vale il prezzo del biglietto.
Francesco Del Grosso