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Il Paradiso probabilmente

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VOTO: 7.5

Cercare una nuova vita mentre si è inseguiti dal mondo

Amare la propria terra, la propria città, non è sempre impresa facile. Spesso si giunge a un punto in cui, per una lunga serie di motivi, per il susseguirsi di strani o spiacevoli episodi, qualcosa ci cominci a stare stretto. O qualcosa ci cominci addirittura a preoccupare o perfino ad irritare.
Elia Suleiman, maestro del cinema surreale, elabora un film che, come evidenziato nei titoli di coda, è dedicato proprio alle sue origini, alla famiglia e alla Palestina. Un luogo che però, agli inizi della storia, sembra non soddisfare più la sua gioia di vivere, minata soprattutto da quella che si intuisce essere la morte della moglie. Il regista, protagonista nella parte di sé stesso, trascorre le sue giornate a Nazareth tra vicini che, con grande faccia tosta, rubano impunemente i suoi limoni, che raccontano strane storie di caccia e che poi passano le lunghe e noiose serate ad insultarsi.
In città perfino la religione sembra in crisi, come vediamo nell’esilarante scena di apertura, oppure andando al bar si rischia di incontrare loschi figuri in cerca di facili liti o, ancora, bande armate di giovanissimi teppisti spaventano ignari cittadini. In tutto questo, la presenza della polizia è continua, sebbene si tratti di forze dell’ordine comunque pigre e che sembrano pensare più a qualche spacconata che a perseguire realmente chi non rispetta la città. Neanche una gita tra gli splendidi panorami naturali è in grado di risparmiare da esperienze disarmanti, come per esempio il vedere un misterioso prigioniero bendato o una donna che, sola e senza altrui aiuto, fa una fatica enorme per riuscire a portare l’acqua, una scena quasi d’altri tempi che, evidentemente, indica problemi ancora difficili da superare.
In cerca di una nuova vita, di un luogo diverso in cui lavorare e fare cinema, Suleiman si reca prima a Parigi e poi a New York, ma probabilmente il microcosmo della Palestina, le storture di Nazareth, sono ormai quelle dello strano e infelice mondo in cui viviamo e, dunque, lasciarsele alle spalle potrebbe essere molto più difficile del previsto. Viaggiare, vedere cosa non va altrove, anche in luoghi che da lontano sembrano migliori, può per di più farci riscoprire il grande amore che avevamo dimenticato di nutrire per la nostra casa che, forse, non è poi così male come ci sembrava fino a un po’ di tempo fa.
Menzione Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2019, girato con una sceneggiatura in cui i dialoghi sono ridottissimi, sebbene efficaci, Il paradiso probabilmente è un film che si compone di una lunga sequela di situazioni, di microepisodi, di momenti che sembrano slegati fra loro ma che, pian piano, vanno poi a formare un lungo racconto, un po’ come tessere di un mosaico, che messe l’una accanto all’altra, sanno restituire solo alla fine un senso all’intera scena. La sensibilità di Suleiman per le immagini è innegabile: in ogni momento la telecamera cattura momenti raccontati con assoluta sincronia, non solo nei movimenti attentamente coreografati degli attori, ma anche nella costruzione vera e propria dell’inquadratura, fatta di visioni simmetriche e precise, studiate così minuziosamente da passare a tratti inosservate. Il risultato cattura rapidamente l’attenzione dello spettatore sull’azione centrale, illustra con grande immediatezza un contesto e lascia che il risultato comico dei brevi accadimenti emerga grazie a quell’arte che era la forza tipica dei vecchi film muti.
Non è semplice, naturalmente, proporre oggi un titolo di questo genere per una molteplicità di motivi facilmente intuibili. Seguire le tante gag (alcune più criptiche di altre) che si susseguono sullo schermo è una cosa, cercare di capire come questa sorta di “puzzle cinematografico” vada a comporsi, dove voglia arrivare, può essere però più complesso, soprattutto quando il dialogo è virtualmente inesistente durante tutta la durata del film. E’ una scelta stilistica assolutamente originale e che sa catturare in alcuni momenti l’essenza stessa della cinematografia ma, alla lunga, si corre il rischio di stancare qualcuno. Una volta compreso il semplice ma non per questo banale messaggio lanciato da Suleiman, non può non tornarci comunque il sorriso, esattamente come accade al protagonista, anche se forse a quel punto c’è un po’ di retrogusto amaro.

Massimo Brigandì

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