L’ultimo ombrello
Si dirà che le lucide provocazioni artistiche vincono i premi ai festival ma sono destinate a non incontrare il gusto del grande pubblico. Sarà, ma c’è davvero da sperare che l’assunto si dimostri sbagliato, almeno in determinati casi. Uno di questi è rappresentato da The Square, il lungometraggio diretto dallo svedese classe 1974 Ruben Östlund, vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2017. Come tutti i grandi autori dovrebbero sempre fare, Östlund alza ancora il livello di ambizione, rispetto al già riuscitissimo Forza maggiore (2014). Mantenendo come tratto distintivo una sublime, tagliente, ironia “raggelata” in sequenze virtuosistiche sempre confacenti alla narrazione, anche in The Square il cineasta scandinavo intende mettere in scena un quadro estremamente pessimistico della società contemporanea, afflitta da un overdose di superficialità che prevede, come conseguenza, comportamenti a dir poco ipocriti. La Svezia – il film è ambientato in una Stoccolma mai caratterizzata e perciò straniante – al pari della Oslo in cui è ambientato il coevo thriller L’uomo di neve di Tomas Alfredson, è una sorta di non-luogo dove le persone non interagiscono e, se lo fanno, è solo per manifestare i loro contrasti. Le divisioni sociali – tra ceti cosiddetti alto-borghesi e popolari, senza contare la categoria a parte dei rom – imperano e l’unica catarsi possibile, cioè l’ambiente artistico, si dimostra se possibile ancora più vacuo di tutto il resto.
Non a caso il regista mette al centro della narrazione, genialmente spigolosa, Christian (interpretato dall’aitante, perfetto per il ruolo Claes Bang), direttore di un fantomatico museo d’arte sempre alla ricerca di nuove forme avanguardistiche tese a colpire l’attenzione di pubblico e addetti ai lavori. Proprio il progetto che presta il titolo al film, denominato per l’appunto The Square e creato da una misteriosa artista argentina (nella realtà opera reale dello stesso Östlund), porta con sé i germi dell’irreversibile contaminazione, dimostrandosi nient’altro che un’utopia destinata a scontrarsi con l’irreversibile status quo di un mondo concentrato su egoismo e indifferenza. Un quadrato che dovrebbe simbolizzare lo spazio virtuale in cui albergano solidarietà e principi elementari di reciprocità diviene al contrario veicolo di campagne e dimostrazioni all’insegna del più bieco sensazionalismo; mentre a ciò s’intrecciano le tragicomiche vicende personali del protagonista, alle prese con relazioni occasionali con giornaliste straniere (sempre bravissima la Elisabeth Moss di Mad Men), artisti vanesi da coccolare per motivi di opportunità (il Dominic West protagonista maschile della serie tv The Affair) e un rocambolesco furto subito. Non si pensi però ad una cattedratica lezione di moralità impartita da Östlund agli spettatori, perché The Square è tutt’altro. Dopo aver messo in luce la necrosi dell’istituzione famigliare, prima cellula della società, in Forza maggiore, stavolta tocca ad un intero macrocosmo finire sotto la lente d’ingrandimento dell’autore scandinavo, eccellente nel mettere in evidenza le discrasie di un corpus sociale da sempre minato nelle sue fondamenta. Esemplare, in questo senso, una delle sequenze meglio riuscite del cinema contemporaneo, quella dell'”uomo-bestia” alla cena di gala: una performance artistica (in teoria…) che si ritorce a mo’ di boomerang contro chi l’aveva voluta. Ossia proprio la classe intellettuale che si pavoneggia inutilmente nel corso dell’intero film.
Se qualcuno potrebbe obiettare sull’eccessiva durata di The Square – quasi due ore e trenta – sarebbe il caso di rispondere che una verità oggettiva non viene affatto inficiata da molte sottolineature: anche l’Arte è morta, nel tempo che viviamo. Inesorabilmente risucchiata nel coacervo di contraddizioni che contraddistinguono un’epoca basata solo sulla strategia dell’apparire. Così, malinconicamente, si chiude anche l’ultimo, metaforico, ombrello in grado di riparare dalla tempesta. Mala tempora currunt, dunque. Nella remota speranza che un’opera-manifesto come The Square, meritatissimo trionfatore a Cannes (ora possiamo dirlo…) nel suo beffardo ritratto di pessimismo senza ritorno, non sia solo la definitiva istantanea di un momento storico tra i più grigi vissuti dall’umanità.
Daniele De Angelis