Valanga umana
Una famiglia svedese passa le sua vacanze invernali sulle Alpi. Il sole splende e le piste sono magnifiche, ma durante un pranzo in un ristorante montano, una valanga irrompe improvvisa. I clienti del ristorante sono presi dal panico, Ebba, la madre, chiama suo marito Tomas per aiutarla a cercare di proteggere i loro due figli, ma l’uomo si è dato alla fuga pensando solo a salvare la propria vita. Letta la sinossi di Forza maggiore (Force Majeure nell’originale, Turist nella versione internazionale) l’idea di trovarsi al cospetto dell’ennesimo disaster movie ad alta quota ambientato tra i ghiacci, le nevi e le rocce di qualche inferno bianco, avanza sempre di più nella mente dello spettatore di turno. Quest’ultimo dovrà però ricredersi dopo aver constatato con i propri occhi che la quarta fatica dietro la macchina da presa di Ruben Östlund è, al contrario, un dramma familiare dal forte retrogusto giallo, condito con ironia, sarcasmo e senso dell’assurdo.
Nella pellicola diretta dal regista svedese, presentata nella sezione Festa Mobile della 32esima edizione del Torino Film Festival e reduce dal Prix du jury di Un certain regard in quel di Cannes 2014, una tranquilla e meritata vacanza si trasforma in un incubo che mette in discussione un matrimonio apparentemente felice. In Force Majeure, infatti, una valanga senza conseguenze non spezza delle vite, piuttosto fa esplodere i conflitti e le contraddizioni fra moglie e marito, sgretolando quanto costruito con amore e affetto sino a quel momento. Il risultato è una storia di disgregazione, di affetti messi in discussione, nella quale un microcosmo familiare entra profondamente in crisi a causa di incomprensioni e verità non dette, sulla quale aleggiano tanto lo spettro di Bergman quanto quello di Allen o della Bier.
Teatro di questa disgregazione un bianco onnipresente che avvolge tutto e tutti, una natura che asettica e immobile partecipa passivamente agli eventi come uno spettatore in una sala cinematografica. Ciò destabilizza e inquieta, creando in colui che guarda un senso di impotenza e angoscia persistente. Östlund è bravo nel canalizzare e trasferire queste sensazioni sullo schermo e per farlo si avvale di uno stile asciutto, elegante e rigoroso, frutto di una cura formale fatta di inquadrature fisse dal taglio geometrico e di movimenti lenti e chirurgici che scivolano tra i corridoi della stazione sciistica e le piste (vedi i camera car che affiancano, seguono e precedono i protagonisti durante le numerose discese).
A non convincere sono però i tanti tempi morti che destabilizzano la narrazione, depotenzializzando la fruizione e la scorrevolezza del racconto, ma soprattutto l’esasperazione e la reiterazione di certe situazioni nell’architettura drammaturgica complessiva. Questo è il vero tallone d’Achille che non consente al film di Östlund di decollare, facendo sciogliere come ali di cera al sole le ambizioni di un regista abituato a volare alto con film come Play o De ofrivilliga. Anche se sorretto da un gruppo di bravissimi interpreti, da dialoghi pungenti, da una buona gestione dei registri e da una certa cura nel disegno dei singoli personaggi, Forza maggiore rappresenta per noi un passo indietro in un copus di opere degno di attenzioni.
Francesco Del Grosso