L’unica via d’uscita è combattere
Billy è un giovane pugile inglese rinchiuso per tre anni in una delle prigioni più note della Thailandia. In un primo momento il ragazzo sprofonda in un mondo fatto di droga e di violenza ma, quando le autorità del carcere gli consentono di prendere parte ai tornei di boxe thailandese, Billy comprende che questo potrebbe essere l’unico modo per sopravvivere.
La storia in questione, tanto quanto il protagonista che l’anima, non sono il frutto dell’immaginazione dello sceneggiatore di turno, ma i tasselli di una vicenda realmente accaduta. Quella raccontata in A Prayer Before Dawn, infatti, è la storia vera di Billy Moore e della sua discesa e risalita dagli “inferi”, una caduta rovinosa che ha lasciato cicatrici indelebili nell’esistenza dentro e fuori dal ring dell’atleta e dell’uomo. Già raccontata nel romanzo autobiografico omonimo, la storia è diventata ora una pellicola per il grande schermo diretta da Jean-Stéphane Sauvaire, che arriverà nelle sale nostrane con Lucky Red dopo le presentazioni alle ultime edizioni dei festival di Cannes (Fuori Concorso) e Roma (Tutti ne parlano).
A Prayer Before Dawn è un pugno ben assestato alla bocca dello stomaco dello spettatore, che fa del realismo della messa in quadro e della narrazione il suo punto di forza. In tal senso, Sauvaire non epura niente, perché non ha paura di dire e soprattutto di mostrare quanto di feroce, crudo e violento questa storia racchiude nel proprio DNA. Del resto, il cineasta francese aveva già dimostrato ampiamente nel suo apprezzato esordio dal titolo Johnny Mad Dog (presentato a Cannes 2008 nella sezione Un Certain Regard, vincitore del Prix de l’Espoir) di non avere timori a riguardo, raccontando l’odissea di una piccola milizia di giovanissimi soldati durante una guerra civile in Africa. Per l’autore, dunque, ancora una storia di violenza, dove il protagonista è costretto a combattere per sopravvivere. E la mente torna inevitabilmente per analogie a pellicole come Hell – Esplode la furia e Chok Dee – The Kickboxer. Quest’ultimo, in particolare, ha in comune con il film di Sauvaire la verità della vicenda narrata. Anche nel film del connazionale Xavier Durringer veniva raccontata la vicenda vera di un lottatore di muay thai (Dida Diafat), fuggito da un’adolescenza violenta e dalla vita di strada per combattere nei ring tailandesi e trovare una via di riscatto. Ma il grande merito di A Prayer Before Dawn e del suo autore è quello di aver rispedito al mittente tutti gli stereotipi dei generi di riferimento, ossia dello sport-drama e del prison-movie, a favore di un romanzo criminale che non presta mai il fianco all’esaltazione del suo protagonista.
Analogie a parte, il realismo del quale vi abbiamo parlato trasforma A Prayer Before Dawn in un’esperienza filmica incredibilmente immersiva, che prende forma e sostanza attraverso un racconto in prima persona in cui il pubblico affronta la storia dal punto di vista di Billy, scoprendo la prigione in cui viene rinchiuso attraverso i suoi stessi occhi. E in questa immersione sensoriale anche il suono ricopre un ruolo determinante, aumentando in maniera esponenziale il ventaglio di emozioni attraversate dal protagonista nell’arco narrativo e di riflesso dallo spettatore. Il tutto reso possibile dall’approccio alla materia e dal modus operandi restituiti sul grande schermo dal regista e dal protagonista Joe Cole, qui nelle vesti di Billy Moore. Da una parte, il cineasta sfoggia una regia iper-cinetica ed eclettica, nonostante le ristrettezze e i limiti imposti alla macchina da presa dalle location circoscritte del penitenziario prima e del ring poi. La macchina sta sempre addosso al personaggio, in un pedinamento continuo ed ansiogeno che toglie fiato anche al fruitore. Il risultato è un kammerspiel carcerario fortemente claustrale che non lascia barlumi di speranza a nessuno. Dall’altra parte, c’è l’interpretazione davvero complicata alla quale si è dovuto sottoporre l’attore londinese (conosciuto per i ruoli in Non buttiamoci giù e nel remake a stelle e strisce de Il segreto dei suoi occhi) Joe Cole, qui alle prese con una prova fisica ed emotiva davvero complessa dalla quale è uscito a testa alta.
Francesco Del Grosso