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La forma dell’acqua

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VOTO: 7

I mostri sono amici

Se non lo facciamo, non siamo uomini“: è una battuta pronunciata, o per meglio dire mimata, da Elisa (Sally Hawkins), la ragazza affetta da mutismo protagonista di The Shape of Water (nella versione italiana La forma dell’acqua), terzo film in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2017 e ultima fatica del regista visionario Guillermo del Toro. Le parole evocate dai gesti di Elisa potrebbero adattarsi a molti suoi personaggi: i quali ci insegnano, dopo averlo imparato a loro spese, che l’umanità non è una condizione innata e acquisita una volta per tutte, bensì un titolo da conquistare, da aggiudicarsi. Quanti umani ben poco umani troviamo nei suoi film? Molti, forse la maggior parte, uno su tutti lo spietato Vidal de Il labirinto del Fauno (2006), essere umano, sì, ma le cui gesta contraddicono la sua appartenenza al genere. Dunque Elisa ha tutte le ragioni del mondo per far derivare la patente di umanità da una scelta particolare: quella di dare la libertà ad un mostruoso essere acquatico, scoperto assieme alla collega Zelda (Octavia Spencer) nel laboratorio della NASA , dove lavorano come addette alle pulizie. La creatura è stata condotta là dal perfido Strickland (Michael Shannon), e adesso è oggetto di una contesa all’ultimo sangue tra russi e americani. Solo su un aspetto i due schieramenti vengono a convergere: entrambi sono decisi a vivisezionare il mostro, così da decifrarne le particolarità respiratorie, che potrebbero rivelarsi molto utili per un umanità rivolta verso lo spazio. Mettendo in atto il loro piano di fuga, Elisa, Zelda e Giles (Richard Jenkins), vicino e amico della protagonista, ci offrono un’alternativa a quest’umanità disumana. Elisa non ha paura della diversità della creatura, semplicemente perché non la percepisce: ha due gambe, due braccia, ed è muta, proprio come lei. La vede come un potenziale amico, se non amante, allo stesso modo degli altri esseri umani (se non di più). Rimproverare a del Toro una certa ripetitività narrativa è semplice, ma anche ragionevole: se con Crimson Peak (2015) il regista aveva un po’ sconfessato il tono fiabesco delle origini, prediligendo tinte horror e accentuando l’elemento gotico, The Shape of Water è un film romantico e delicato, un ritorno alla poetica de Il labirinto del Fauno che potrebbe non accontentare i non adepti. Ma nonostante il film non rappresenti certo una svolta e non aggiunga granché di significativo alla filmografia di del Toro, le sue competenze tecniche e la sua potenza visionaria lo rendono estremamente appagante, oltre che molto efficace a livello emotivo. Impeccabile anche la selezione degli attori: la Spencer ci regala un’interpretazione soffusa e delicata, e la fisionomia di Michael Shannon è perfetta per esprimere in modo calibrato l’irritabilità di Strickland.

Ginevra Ghini

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