Cuori e guantoni
Guardando l’ispirato e bellissimo bianco e nero di La vera storia di Olli Mäki (Hymyilevä mies) di Juho Kuosmanen – opera prima già vincitrice all’ultimo Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard e in lizza per la nomination agli Oscar come miglior film straniero per la Finlandia – è impossibile non pensare a un altro film “diversamente biografico” sul pugilato come il fondamentale Toro Scatenato di Martin Scorsese e, nello stesso tempo, non rendersi conto di quanto (al di là di ogni merito artistico) queste due storie siano agli antipodi.
Olli è un pugile finlandese che, all’inizio degli anni sessanta, dopo aver vinto il titolo europeo nella categoria dei pesi piuma, si ritrova a toccare la possibilità di combattere nientemeno che per il titolo mondiale. Eppure, a differenza del suo quasi contemporaneo collega d’Oltreoceano, per Olli, da poco fidanzato con una ragazza che lo segue ovunque, scherza con lui, ne condivide le preoccupazioni, lo sostiene, la boxe non pare essere tutto: né la sua ragione di vita, né, tanto meno, la valvola di sfogo per liberare un’incontrollabile violenza.
In un’edizione del Torino Film Festival 2016 con ben due biopic pugilistici nella sezione Festa Mobile, quella di Olli Mäki – a differenza del notevole, seppur più tradizionale, Bleed for This di Ben Younger – è sicuramente la storia più curiosa, più intima, più anomala.
Se il Vinny Paz di Miles Teller, infatti, pur di tornare sul ring è disposto a mettere in gioco la sua stessa vita, l’Olli Mäki di Jarkko Lahti sembra vivere la sua professione con una riservatezza e un’umiltà estranea a ogni altro campione, rigettando ogni sbruffonaggine, ogni discorso motivazionale, ogni classica retorica sportiva.
L’apparentemente svogliato Olli, incapace di concentrarsi sugli obiettivi impostigli dall’allenatore e persino di perdere il peso necessario per sostenere l’incontro, non cerca nessuna rivalsa, né vuole dimostrare qualcosa a qualcuno; forse perché ha già tutto a portata di mano, nella semplicità senza pretese della sua vita appartata e nell’amore candido e sincero della dolce Raija.
Colorando la vicenda dei toni sommessi della commedia agrodolce, alternando leggerezze a sprazzi di sincera malinconia, Kuosmanen confeziona un’opera prima solida e delicata insieme, un biopic sui generis a metà strada tra il film sentimentale e un anomalo dramma sportivo, dove la macchina da presa insegue e studia il suo schivo protagonista, solo per poi prenderne le distanze e quasi abbandonarlo al momento dell’incontro, sul ring, disinteressata a un evento, infondo, insignificante.
The Happiest Day in The Life of Olli Mäki (questo il titolo internazionale del film) è, allora, un inno antispettacolare alla semplicità (formale, tematica, narrativa), il ritratto di un uomo comune e, insieme, il simbolico ribaltamento di una retorica abusata. Il timido rifiuto di un’intera visione del mondo.
Mattia Caruso