Good Morning, Midnight
“Sarei forse più sola senza la mia solitudine”, recita un verso di una sua poesia.
E pare proprio una prigioniera la Emily Dickinson di Terence Davies, incatenata com’è al suo destino di donna anticonformista ed eccentrica (“conformati, e sei saggio/dissenti, e sei pericoloso”), un’anima auto-esiliatasi tra le mura domestiche, incapace di vivere altra vita all’infuori della poesia.
É all’insegna di tormenti, rimpianti, ma anche risate, che il regista inglese firma il suo omaggio alla grande poetessa statunitense, facendo di A Quiet Passion l’ennesima, grande opera da aggiungere al suo personalissimo percorso autoriale, una sfida vinta nel rappresentare qualcosa all’apparenza così difficilmente rappresentabile.
Perché se nel precedente – e bellissimo – Sunset Song la storia privata della protagonista si accompagnava, spesso confondendosi e scontrandosi, alla Storia e agli stravolgimenti del suo Paese, quella di Emily (una straordinaria Cynthia Nixon) pare invece persa in un conflitto tutto interiore, nei drammi di una psiche in costante fermento e mutamento, esclusa e lontana dal mondo, dalle azioni, dai rapporti con gli altri.
Con la consueta grazia ed eleganza formale Davies attraversa, discreto, l’universo chiuso e angusto della sua eroina, ne sorvola le stanze e gli spazi restituendo dettagli e piccole cose, lacrime e preghiere, consegnandoci il ritratto di una donna anticonvenzionale e tenace nella sua fragilità, combattiva nella sua sofferenza e nella sua solitudine.
Per farlo alterna alla leggerezza e alla briosità degli scambi di battute dei suoi personaggi (da un padre che ha le fattezze di un perfetto e impostatissimo Keith Carradine, alla sorella e confidente Vinnie di una bravissima Jennifer Ehle), la solennità delle poesie recitate in voice over dalla stessa Emily, avvicendando alla vitale e irosa energia della protagonista, le frustrazioni quotidiane e lo straziante sconforto della morte.
Emily diviene, così, nient’altro che un’eroina, fuori dal mondo perché fuori dal suo tempo, un’epoca che non la comprende e non la apprezza, negandole il giusto riconoscimento, umiliandola costantemente con la propria indifferenza, il proprio scetticismo, la propria diffidenza, senza riuscire mai, però, a spezzarla.
Tutto, in A Quiet Passion, vibra dell’essenza privata e domestica dei rimpianti e della malinconia, di un destino ineluttabile accettato con coraggio, orgoglio e rassegnazione, fino alla fine, fino a esplodere in sequenze di grandissima forza espressiva, specchio di un’anima sola, infelice eppure grandissima.
Mattia Caruso