L’amore ai tempi dell’I.R.A.
Rivedendo The Boxer (1997) a distanza di venti anni esatti dalla sua realizzazione, grazie alla riproposizione nell’ambito dell’Irish Film Festa 2017 come omaggio al suo autore, saltano subito in mente diverse considerazioni sul cinema in assoluto e su quello, nello specifico, di Jim Sheridan. La prima concerne la presa d’atto di come la realizzazione di un’opera di alto livello sia sempre legata ad alcuni equilibri alchemici, primo dei quali una felice sintesi narrativa tra le varie istanze, anche di genere, che si intende far emergere. Operazione ovviamente assai difficile da compiere in senso assoluto. In questo caso The Boxer – opera quarta di Sheridan, che segna anche il termine del suo periodo maggiormente propizio dal punto di vista artistico – rappresenta ancora oggi una sorta di “miracolo” cinematografico. In essa convivono infatti in perfetta armonia un’anima politica, romantica, sociale e assieme di azione, tanti sono alla fine gli accadimenti che si susseguono nelle due ore scarse di durata del film. Lo sfondo politico è ritratto da Sheridan con una secchezza esemplare, attraverso la descrizione di una Belfast militarizzata e divisa in svariate zone con annessi posti di blocco da superare. La parte meno integralista dell’I.R.A. (Irish Republican Army, l’ala militare per la liberazione dell’Irlanda del Nord dalla dominazione britannica) stenta ancora a farsi largo ed è l’odio verso la fazione protestante a prevalere. Certamente Sheridan non è stato e non verrà mai accusato, in questo caso. di aver realizzato un’opera pro I.R.A, tutt’altro; è tuttavia altrettanto palese come al regista dublinese interessasse relazionare simbolicamente i conflitti interiori irlandesi con quelli sentimentali, a dir poco tumultuosi della storia d’amore tra i due protagonisti. Una relazione, quella tra Danny Flynn – il pugile del titolo, magnificamente interpretato da un Daniel Day-Lewis giunto alla terza e sinora ultima collaborazione con Sheridan dopo Il mio piede sinistro (1989) e Nel nome del padre (1993) – e la ora sposata e madre di un adolescente Maggie (impersonata da una luminosa Emily Watson) che ha vissuto una drammatica interruzione a causa della condanna a quattordici anni di prigione di Danny, per non meglio specificate attività militari in seno all’I.R.A. secondo la versione inglese. Ed anche il progressivo riavvicinarsi tra Danny e Maggie è raccontato da Sheridan – coautore della sceneggiatura insieme a Terry George – con un’asciuttezza semplicemente ammirevole, autentico zenit nella carriera di un regista che già dal successivo, peraltro molto personale ed autobiografico, In America (2002) dimostrerà una propensione a concedere sin troppo spazio alla componente melodrammatica. In The Boxer regnano invece il ritratto impeccabile della povertà di una città allo stremo delle forze, nonché il susseguirsi senza pause di azioni violente destinate a frustrare qualsiasi tentazione utopica. La quale poi è quella di Danny, che, con l’aiuto del suo primo allenatore, prova a ricostruire la palestra per iniziare i giovani al pugilato nella segreta speranza di toglierli da una strada sempre più fonte di pericolo. La boxe, insomma, come ipotesi di riscatto verso un’esistenza differente.
Una molteplicità di sottotesti che fanno di The Boxer una delle opere più significative della filmografia di Sheridan, il quale ben sfrutta, registicamente parlando (semplicemente meravigliosa la fotografia di Chris Menges), le numerose panoramiche aeree a simbolizzare sia le soggettive degli elicotteri in perenne volo che la speranza “alta” di un destino migliore nel prossimo futuro; mentre si concentra sul dettaglio delle espressioni dei suoi fantastici protagonisti – del resto Jim Sheridan è sempre stato un ottimo direttore di cast – e su dialoghi di estrema pregnanza allorquando si tratta di lasciare, prima sommessamente intuire per poi deflagrare alla distanza, il giusto spazio ad un sentimento che quasi tre lustri di lontananza reciproca non sono riusciti affatto a cancellare.
Per questi e molti altri motivi, The Boxer rappresenta ancora oggi un “contenitore” di grandissimo cinema capace di incarnare alla perfezione ciò che la Settima Arte, nelle sue espressioni migliori, ha fatto e continua a fare da oltre un secolo a questa parte: far sognare, soffrire, emozionare quel pubblico che ancora crede nella verità di un fascio di luce proiettato su uno schermo. Assimilando la pellicola in questione ad un ristretto numero di opere per le quali il fattore tempo, con relativo invecchiamento, fortunatamente non può esistere.
Daniele De Angelis