La bambina scompare
Un giovane uomo. Sua figlia di sei anni. Una telefonata piuttosto concitata durante un viaggio in macchina. All’improvviso, una lunga fila di automobili ferme, in attesa di poter proseguire il viaggio. Nel momento in cui l’uomo andrà a vedere cosa è successo, la bambina scomparirà misteriosamente. Chi sarà stato il responsabile della sua scomparsa? Quasi sicuramente qualcuno degli automobilisti in fila. Bisognerà vedere chi, però. Ma questo è solo l’inizio. Da questo momento in poi, infatti, prenderà il via un thriller di tutto rispetto, con tanto di picchi di tensione al suo interno uniti a momenti più “leggeri” ed ironici. Ed il tutto si svolgerà in poco meno di venti minuti. Stiamo parlando di Gridlock, cortometraggio diretto dal giovane regista Ian Hunt Duffy e presentato in concorso alla 10° edizione dell’Irish Film Festa, dove è stato premiato come miglior cortometraggio in live action.
Alfred Hitchcock sosteneva che, al fine di creare suspense, bisogna dare allo spettatore il maggior numero di informazioni possibile, riguardo a ciò che sta accadendo sullo schermo. Detto ciò, dunque, in un giallo la formula del whodunit (dall’inglese “who has done it?” – “chi lo ha fatto?”) risulta spesso poco appropriata, se si vuole tenere il pubblico in un costante stato di tensione. Un esempio particolarmente chiarificatore in merito – come lo stesso zio Alfred ci ha spiegato – può essere una scena in cui due uomini stanno parlando seduti al tavolino in un bar. Entrambi, ovviamente, sono ignari del fatto che sotto lo stesso tavolino vi è collocata una bomba pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Lo spettatore, al contrario, ne è perfettamente a conoscenza. Ed ecco che, dunque, per quest’ultimo, l’intera scena – fino al momento dell’esplosione – sarà particolarmente ricca di suspense. Cosa che, ovviamente, non accadrebbe se l’ordigno si limitasse ad esplodere senza che nessuno – spettatore compreso – fosse venuto a conoscenza della sua presenza. Ovviamente, questa regola non sempre è stata rispettata dallo stesso Hitchcock. Basti pensare, ad esempio, ad uno dei suoi lungometraggi più interessanti – anche se meno conosciuti – che, sia per tematiche che per impostazione, ricorda molto lo stesso Gridlock: La signora scompare (1937).
Bene, detto questo, il cortometraggio di Ian Hunt DUffy si svolge, come già si può intuire dopo una breve scorsa della sinossi, seguendo – analogamente a quanto accade in La signora scompare – in tutto e per tutto la classica formula del whodunit, proprio come quanto accadeva, ad esempio, anche nei gialli di Agatha Christie – con Poirot, Miss Murple e compagnia bella – a cui siamo tanto affezionati e che, di fatto, hanno sempre funzionato, se si vuol parlare di suspense. Sarà per il gruppo ristretto di sospettati, sarà per gli ambienti chiusi ed angusti, ma questa formula tanto amata dalla Christie, se usata nel modo giusto, funziona eccome. Lo stesso, come già detto, accade qui, in Gridlock, dove il giovane autore riesce alla perfezione a dare vita ad un thriller soddisfacente e “completo”, malgrado i pochi minuti a disposizione. Merito, ovviamente, di uno script di ferro, merito della caratterizzazione di ogni singolo personaggio (come non notare, a tal proposito, il misterioso uomo chiuso in macchina che sembra non voler in nessun modo prendere parte alla ricerca della bambina?), merito dell’ambientazione e, non per ultima, di una regia attenta ai dettagli e consapevole che, anche grazie a singoli elementi (il cavallo investito ed insanguinato che blocca il passaggio delle macchine, ma anche la bambola della bambina), dimostra piena padronanza del linguaggio cinematografico e, soprattutto, sa come gestire e dosare la suspense al punto giusto. Fino ad un più che soddisfacente ribaltamento finale.
Ed ecco che il premio per il miglior cortometraggio in live action risulta, dunque, più che meritato. Premio che è, di fatto, solo un’ulteriore conferma del valore artistico di questo piccolo ma efficace lavoro di un cineasta che, ci auguriamo, possa regalarci, in futuro, ancora tante, tante emozioni.
Marina Pavido