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Sense8

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VOTO: 6.5

Tutti per uno, uno per tutti(?)

È davvero complesso valutare un prodotto a metà, soprattutto quando questo brutto scherzo lo fa un certo Sig. Netflix, il servizio di streaming che era solito salvare serie televisive arenate sulle spiagge dei palinsesti, senza nessuno in grado di portarle verso il mare aperto ridando una seconda occasione attraverso nuovi racconti. Ora il ruolo di Whispers, il cattivo di Sense8 che terrorizza e perseguita i giovani protagonisti della storia delle sorelle Wachowski, è diventato di proprietà esclusiva dell’azienda americana. Non è la prima volta, e gli abbonati lo sanno bene. Il primo a essere epurato è stato il giovane Marco Polo, che di certo non tornerà sulla Via della Seta (almeno non in questa piattaforma), mentre il racconto sull’origine dell’Hip Hop The Get Down, del regista Baz Luhrmann, si è arrestato alla prima stagione (un po’ lo stesso destino della concorrente Vinyl della HBO, sempre sulla musica anche se riflette lo sviluppo del rock negli anni ’70).
Qual è la ragione del fallimento? Essenzialmente il rapporto costo/ascolti, dal momento che Sense8, per quanto riguarda la produzione, è costato nove milioni di dollari a puntata, somma che non ha visto, evidentemente, un ricavo in termini di visualizzazioni. Nonostante le petizioni online provenienti dai fan, (da #RenewSense8 a #BringBackSense8), purtroppo non c’è stato verso, con Netflix che, in un post su Facebook, conferma ufficialmente la cancellazione della serie: “Avremmo voluto poter continuare questa avventura. Se ci abbiamo messo tanto a rispondere è perché abbiamo pensato a lungo a come farlo. Ma purtroppo non è possibile”. L’effetto fantascientifico (e, bisogna dirlo, geniale) di collegare le menti di persone provenienti da diverse aree globali verso un obiettivo comune, si è trasformano di punto in bianco in realtà, perché da ogni parte del mondo la gente ha cominciato a protestare e a innondare di messaggi i vari profili social del servizio streaming che conta oggi ben 100 milioni di utenti.
Chi bisogna incolpare allora di questa brusca interruzione? Netflix? Lo spettatore? I creatori della serie? Nessuno ha una risposta certa. Quello che è sicuramente interessante sottolineare è l’incapacità da entrambe le parti produttive di sostenere un progetto fino in fondo, soprattutto quando si tratta di momenti rischiosi come questo. Uno degli insegnamenti che Sense8 ha saputo offrire è che, uniti, si può combattere contro qualsiasi barriera, che sia culturale, come posso essere gli stereotipi che le società costruiscono per paura o per facilitare la propria visione del mondo, o che sia un’ingiustizia subita, come capita a gran parte dei personaggi della storia.
Il caso esemplare, e forse più avvincente, è quello di Sun Bak, una donna intraprendente e dall’animo forte e deciso, tanto da diventare il punto di riferimento dell’azienda di famiglia. Nonostante ciò, il padre non riesce a vedere appieno le qualità della figlia, puntando invece sul fratello Joong-Ki, che non ci pensa due volte a colpirla nell’unica parte vulnerabile: il suo senso di responsabilità verso gli altri, un elemento che la spinge a proteggerli a tutti i costi, dalla famiglia agli amici stessi. Lo stesso si può dire di Capheus, di origini nigeriane. Vivendo in un quartiere privato di ogni servizio e diritto, ha come idolo indiscusso Van Damme, l’attore dall’indomito coraggio, capace di sconfiggere gli avversari e di vendicare gli indifesi. Un simbolo che improvvisamente si trasferisce nel corpo del ragazzo (grazie all’aiuto di San, fondamentale nei momenti d’azione e di combattimento) che viene ritenuto dalla popolazione un vero e proprio leader (da non confondere con “politico”), l’unico in grado di risollevarli da una situazione di estrema precarietà.
Le ingiustizie sono all’ordine del giorno per questo determinato “cluster”, termine usato per indicare la cerchia di sensate accomunati da un’unica mente: dall’omofobia che accerchia i personaggi di Lito, interprete di successo del cinema messicano, e di Nomi, un hacker di estrema abilità, al bisogno di ottenere la verità, che è al centro delle vicende di Will, poliziotto di Chicago che vuole scoprire cosa c’è di oscuro nella scomparsa di una bambina di nome Sara, e di Kala, una giovane donna indiana sposata con il figlio di uno degli amministratori di una grossa casa farmaceutica, che si scoprirà essere invischiata in uno scandalo che coinvolgerà la salute di gran parte dei Paesi in via di sviluppo, tra i quali la stessa Nigeria di Capheus.
Se nella prima stagione le sorelle Wachowski compiono una profonda analisi descrittiva degli stessi protagonisti del racconto, dalla scoperta di questa affinità tra gli otto sensate, alla profonda caratterizzazione di ciascun personaggio, fino ad arrivare una brusca accelerazione narrativa verso la fine, nella seconda ci si aspettava una maggiore focalizzazione sul contesto all’interno del quale è in gioco la sorte di questo cluster, e su uno sviluppo costante della storia. Ed è proprio qui che nascono i problemi, ascrivibili ex equo ai creatori e, ormai a partita conclusa, a Netflix. In questa seconda parte c’è stato un notevole avanzamento del racconto, anche se insufficiente a comprendere appieno gli avvenimenti. Lana Wachowski ha voluto celebrare la forza della diversità dei suoi interpreti, scelta condivisibile ai fini del messaggio di apertura e di speranza verso una società maggiormente fondata sull’amore tra i popoli e tra gli individui, con l’obiettivo futuro di creare una comunità basata su “ponti” anziché “muri”, sulla condivisione anziché sulla segregazione. Tuttavia, in una considerazione postuma degli eventi accaduti attorno alla serie, rimane un vuoto narrativo incolmabile, segno di come sia stato necessario un maggiore equilibrio tra contenuto e forma in grado di salvare quanto di buono è stato prodotto. Ciò nonostante, Sense8, oltre a essere basato su un’idea originale e visionaria, mostra uno sforzo registico non indifferente, dal montaggio delle diverse sequenze che rappresenta il fulcro centrale su cui si appoggia l’efficacia della storia, a inquadrature suggestive che rientrano nel cinema dei Wachowski, che finalmente tornano nel mondo reale dopo il fallimentare viaggio all’interno di Jupiter – i destini dell’universo.

Riccardo Lo Re

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