Dalle stalle alle stelle
Teresa, vegetariana e astrofisica di successo, vive con la sua fidanzata Daniela nell’isola di La Palma, Canarie, presso il telescopio nazionale italiano Galileo. Dopo anni di autoesilio, torna in Porto Rico nella fattoria dove vive la famiglia. Il padre e capostipite della famiglia Díaz è un conservatore proprietario di un’azienda di allevamento e di macellazione di polli, cosa che Teresa non ha mai approvato e che costituisce uno dei motivi della sua partenza. Del resto, nessuno in famiglia è quello che dice di essere, e ognuno ha adottato strategie di sopravvivenza e resistenza al regime autoritario del padre, che li ritiene tutti extraterrestri. Teresa, che è tornata allo scopo di invitare la famiglia al suo matrimonio, non riesce a trovare il coraggio di rivelare la verità e decide di prendere tempo. Intanto una serie di sabotaggi da parte degli allevatori concorrenti della zona rischia di mandare in fallimento l’azienda. Ma Daniela, stanca di aspettare Teresa a La Palma, decide di andare in Porto Rico per incontrare la sua nuova famiglia, provocando involontariamente un collasso da supernova nel piccolo nucleo rurale e una serie di reazioni a catena.
Con una sinossi così è impossibile che la curiosità non prenda il sopravvento sullo spettatore di turno. Ed è proprio questa curiosità che ci ha preso per mano portandoci lo scorso 17 giugno al Teatro Strehler per vedere la proiezione di Extra Terrestres, presentato in anteprima italiana nel concorso lungometraggi della 31esima edizione del Festival MIX Milano, dopo la premiere canadese al Toronto LGBT Film Festival 2016 e un fortunato tour nel circuito festivaliero internazionale. Purtroppo, la curiosità gran parte delle volte gioca brutti scherzi a coloro che si creano determinate aspettative. Extra Terrestres non è un brutto scherzo, poiché offre alla platea momenti riusciti capaci di dispensare sorrisi grazie a uno humour intelligente e mai volgare (vedi la fuga notturna dalla villa da parte dell’amante e il rientro della moglie ubriaca dopo l’ennesima misteriosa uscita, senza dimenticare il tentativo di rianimazione di un pollo al forno da parte del piccolo Andrés). Ciò non basta, però, a promuovere con il massimo dei voti una pellicola che nel complesso presenta una serie di limiti, sia strutturali sia tecnici, che ne impediscono il decollo.
L’opera prima della scrittrice e regista portoricana (di origini italiane) Carla Cavina è una commedia pseudo fantascientifica dall’inconfondibile sapore sudamericano, leggera e scanzonata nel modo di raccontare e di rivelarci i destini dei personaggi che la animano. La storia scorre attraverso tre piani ben precisi: umano, politico e cosmico. Piani, questi, che non si mescolano, ma che si cedono di volta in volta il testimone in modalità random dando origine a una sorta di puzzle. Piani che allo stesso tempo non riescono sempre a coesistere sulla timeline a causa di una scrittura discontinua, che non sempre riesce ad amalgamare e a dotare il racconto di un’adeguata scorrevolezza. Tali mancanze spingono di conseguenza il fruitore a guardare ai singoli piani e non al complesso. A convincere di più è quello umano, con la protagonista che dovrà affrontare due prove difficilissime: da una parte provare a ricucire i legami familiari messi in discussione da una lunga assenza, dall’altra l’altrettanto delicata questione del coming out. Temi classici, questi, soprattutto quando vengono chiamati in causa in una pellicola che mette al centro l’accettazione e l’omosessualità, ma che la Cavina invece utilizza non per parlare di cosa significa essere gay, ma di cosa significa essere una figlia, una sorella, una compagna e più in generale una donna.
A convincere meno, al contrario, sono i restanti piani, entrambi sviluppati con meno attenzione e partecipazione: da una parte quello politico, legato a una critica più o meno forte alla guerra nel commercio aviario in quel di Porto Rico e all’allevamento dei polli in batteria; dall’altro quello cosmico, che qui ha anche una serie di chiavi di lettura metaforiche appena abbozzate che non sono abbastanza corpose da stratificare la drammaturgia. Nemmeno i VFX e l’uso del green back, decisamente artificiosi, contribuiscono alla causa, depotenzializzando ancora di più la componente Sci-Fi del progetto.
Francesco Del Grosso