L’esordio di un ribelle
Proprio grazie all’Istituto Polacco di Roma si sono moltiplicate, negli ultimi anni, le occasioni di rivedere sul grande schermo le prime opere di un autore che si presentò da subito come scomodo, imbarazzante, per niente addomesticabile e poco conforme, rispetto agli standard della Polonia comunista. Parliamo naturalmente di Jerzy Skolimowski. Abbiamo potuto così apprezzare la (neanche troppo) sottile carica destabilizzante di Walkover (1965) e soprattutto di Mani in alto! (Ręce do gory), girato nel 1967 ma fatto circolare per motivi di censura solamente nel 1981, quando il regista si era ormai deciso ad espatriare da tempo. Quasi scontato che a passo di gambero si approdasse prima o poi a Rysopis – Segni particolari nessuno (1964), suo lungometraggio d’esordio.
Ieri sera il cineasta polacco, ospite dell’XI edizione di CiakPolska Film Festival, ha potuto presentare al pubblico del Cinema Troisi – assieme alla co-sceneggiatrice Ewa Piaskowska – il suo più recente lungometraggio, intitolato EO. Ovvero il film che ha vinto il Premio della Giuria al Festival di Cannes 2022. Oggi 15 novembre (ore 20) Skolimowski sarà invece al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove toccherà al suo esordio cinematografico inaugurare la rassegna Grandi classici del cinema polacco, quest’anno colonna portante del festival, che si protrarrà poi in tale sede fino a domenica 19 novembre. Rysopis ed EO, praticamente l’alfa e l’omega della sua filmografia, programmati nel giro di un paio di giorni a Roma.
In Rysopis – Segni particolari nessuno assistiamo al confuso peregrinare di Andrzej Leszczyc (personaggio ruvidamente interpretato dallo stesso regista e destinato a diventare una sorta di alter ego filmico, nella primissima parte della sua filmografia), durante le ultime ore che lo separano dalla partenza per il servizio militare.
La pellicola, filmata in un bianco e nero i cui bruschi intervalli tra oscurità e luce sembrano rimarcare, oltre alle differenti fasi della giornata, un forte disagio esistenziale, aspirava senz’altro a farsi manifesto di uno spaesamento generazionale diffuso. Ma al tempo stesso il modo in cui tutto ciò veniva messo in scena rivelava già una cifra autoriale incredibilmente personale e matura.
Dal risveglio del protagonista alla sua partenza in treno, in appena mezza giornata, elaborati movimenti di macchina e carrellate dall’esito mai scontato, cariche di sorprendenti epifanie, fanno sì che le peregrinazioni di Andrzej scuotano dal torpore, in ogni modo possibile, la grigia e solo apparentemente quieta quotidianità della società polacca. Certe sue frequentazioni mettono in luce le prime zone d’ombra di tale assetto sociale. Ma, complici l’amara ironia e lo strisciante nichilismo del protagonista, è lo stesso autoritarismo della Polonia comunista a finire sotto tiro, messo alla berlina tramite dialoghi e situazioni che lasciano percepire in filigrana il conflitto in atto, tra accettazione dello status quo e sotterranea ribellione: valga per tutte la fantastica scena del confronto iniziale, spinto ai limiti del sarcasmo, tra un Andrzej quanto mai indisponente e l’ottusità delle autorità militari.
Stefano Coccia