Cartoline ansiogene dal Perù anni ’90
Con un festival come Cinema Svizzero a Venezia, sulla cui torta di compleanno sono state depositate quest’anno ben 14 candeline, la redazione di CineClandestino condivide determinate “affinità elettive”, tra cui anche questa: una spiccata predilezione per il cinema di Klaudia Reynicke, rivelatosi a noi in modo folgorante con Love Me Tender, lungometraggio del 2019 che aveva inoltre una splendida Barbara Giordano quale protagonista.
Il nuovo lavoro della cineasta elvetica di origini peruviane, Reinas (Regine), è stato scelto dalla Svizzera come candidato agli Oscar e uscirà anche nelle sale italiane, grazie a Exit Media; ma intanto martedì 11 marzo è stato il film d’apertura della “Spring Edition” del Cinema Svizzero a Venezia 2025, consolidata rassegna cui la Reynicke partecipa così per la terza volta, dopo aver collezionato nel 2024 per la stessa opera prestigiose presenze al Sundance, a Locarno e alla Berlinale.
A Palazzo Trevisan degli Ulivi l’eclettica regista ha portato stavolta un coming of age intenso, agrodolce, camaleontico, brillante, le cui pieghe del racconto rivelano intanto un’impronta decisamente personale, che pare alluda proprio alle circostanze che portarono diverse famiglie peruviane a emigrare all’estero; situazioni, queste, potenzialmente affini a quelle cui deve essere andato incontro il nucleo famigliare dell’autrice, ci viene da pensare all’istante. Siamo infatti a Lima nei primi anni ’90. E le prime immagini del film coincidono con un discorso televisivo di Juan Carlos Hurtado Miller, ex Ministro dell’economia e delle finanze del Perù ai tempi del controverso, autoritario Presidente Fujimori. Quella breve apparizione televisiva paventava tutti i rischi di un’economia al collasso. Con un taglio rapsodico, “impressionistico”, compaiono quindi nel film tutti i cardini di un’era decisamente oscura, per la nazione sudamericana: attentati dinamitardi da parte dei maoisti di Sendero Luminoso, violente repressioni governative, coprifuoco nelle strade, sempre più limitata libertà d’espressione. A margine di un quadro sociale a dir poco travagliato, la Reynicke ha saputo costruire quel piccolo spaccato famigliare dai tratti profondamente umani, che appare costantemente in bilico tra le ansie degli adulti, giustamente preoccupati per il progressivo degenerare dell’ordinamento democratico e per i devastanti contraccolpi della crisi economica, ed il diverso atteggiamento esibito dai giovanissimi; a partire dalle due figlie di genitori separati che alternano costantemente, in scena, forti impulsi vitalistici e reazioni assai angosciate alle paranoie derivanti dal mondo adulto.
Strepitoso il cast. E se il meglio Klaudia Reynicke lo offre, probabilmente, nel dirigere le due adolescenti protagoniste, tirandone fuori tutta la grinta possibile, una nota di merito va senz’altro a Gonzalo Molina: nell’impersonare l’istrionico papà delle ragazze, Carlos, le cui “bugie bianche” rischiano più di una volta di complicare la vita all’intera famiglia, sono molteplici le sfumature caratteriali del personaggio da lui messe brillantemente a fuoco. E un cenno lo merita pure, volendo, la vicenda appena abbozzata dell’amico della coppia protagonista, trattenuto senza spiegazioni in caserma dopo aver infranto con gli altri il coprifuoco. Il destino dell’unico personaggio impegnato in attività politiche legate all’opposizione non ci viene neanche reso noto, il che (specie per chi è reduce dalla visione di altri film inerenti a governi autoritari sudamericani, vedi il recente e bellissimo Io sono ancora qui di Walter Salles) non può che generare una forte sensazione di disagio. Senza alcuna garanzia, nella sempre incerta direzione degli eventi, che per tale sub-plot accennato quasi di sfuggita possa ipotizzarsi una risoluzione positiva e indolore.
Stefano Coccia









