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Psicomagia – Un’arte per guarire

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VOTO: 8

Il cinema come atto psicomagico

Dopo La danza della realtà (2013) il mese scorso e Poesia senza fine (2018) il 4 aprile è arrivato finalmente il turno dell’ultimo lavoro di Alejandro Jodorowsky, ovvero Psicomagia – Un’arte per guarire (2019): il film è stato proiettato martedì 18 aprile al cinema Barberini di Roma, sempre all’interno della micro-rassegna organizzata da Mescalito. Sebbene in tale occasione si sia anche ricordato come l’ultranovantenne Maestro sudamericano risulti già impegnato con la preparazione di una nuova opera. Ne siamo ovviamente strafelici. E tale informazione, al pari di altre che hanno saputo stimolare la discussione e il confronto, al termine della proiezione, ci è stata trasmessa come nelle precedenti occasioni dalla documentarista Sara Pozzoli, chiamata nuovamente a introdurre l’evento. A lei due grossi meriti. Il primo è senz’altro aver fornito informazioni utili a inquadrare questa singolare operazione cinematografica. Importante è stato ad esempio sottolineare che la così estesa lista di nomi sui titoli di coda, organizzata così da formare un’eccentrica, allusiva figura, intende omaggiare tutti coloro che hanno partecipato al crowdfunding, soluzione produttiva insolita per l’autore ma che gli ha assicurato qui una libertà creativa ancora maggiore. Non meno pertinente, da parte di Sara, è stato menzionare l’attività svolta a lungo da Jodorowsky in un caffè parigino, ovvero quel suo leggere gratuitamente i tarocchi agli avventori entrando al contempo in sintonia coi loro pregressi, con determinate situazioni famigliari, con certi nodi esistenziali da sbrogliare. E qui siamo già in prossimità dell’atto psicomagico

Con velata, sorniona autoironia, Jodorowsky all’inizio del film afferma di stare alla “psicomagia“, come Freud sta alla psicanalisi. Lui e il celebre studioso europeo artefici di nuove discipline. Ciò non vada però interpretato come un atto di superbia o una semplificazione, perché risulta chiaro da subito che al cineasta non interessi celebrare la propria missione, bensì problematizzare l’approccio alla psiche umana rimarcando come un intervento basato solo sulla parola sia il più delle volte sterile, inefficace, mentre chiamare in causa altre energie e un rapporto di natura olistica, che sia anche tattile, intimo, procura davvero effetti catartici e terapeutici.

Traumi risalenti all’infanzia e mai superati. Rappresentazioni di tali momenti affini a ciò che noi conosciamo come “costellazioni famigliari”. La nudità quale tabù da sfatare. Azioni di natura simbolica. Fantasie artistiche poste al servizio della guarigione di un essere umano. Tutto ciò che viene a comporre un atto psicomagico (e qui abbiamo ridotto all’osso la portata dell’evento) avviene in virtù di una relazione profonda, empatica, che Jodorowsky stesso intrattiene con le persone che si rivolgono a lui, alcune delle quali compaiono con le loro travagliatissime storie personali nel film.
Ma Psicomagia non è soltanto documentazione e testimonianza di tali casi, apre anche altri scomparti dell’immaginario, facendo dialogare ad esempio certi atti psicomagici con scene particolarmente emblematiche della filmografia dell’autore.
Non solo. Vi è anche, man mano che ci si avvicina alla fine, un parziale scivolamente da una valenza individuale a quell’ottica sociale, ben rappresentata dall’atto psicomagico collettivo compiuto anni fa in Messico trasfigurando la sofferenza delle innumerevoli vittime del narcotraffico e quella dei loro parenti ed amici. La visione del film stesso viene così ad essere potenziale atto psicomagico di gruppo. E le reazioni emotive di alcuni spettatori alla fine della proiezione non hanno fatto altro che confermarlo.

Stefano Coccia

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