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Poppy Field

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VOTO: 8.5

In mezzo a due fuochi

Da anni la cinematografia rumena e la sua new wave stanno partorendo pellicole di altissimo livello, capaci di raccogliere consensi e importanti riconoscimenti dentro e soprattutto fuori dai confini nazionali. Pellicole, queste, che hanno lasciando e continuano a lasciare il segno non solo per le grandi qualità espresse, ma anche per la capacità di confrontarsi di volta in volta con tematiche complesse dal peso specifico rilevante e di mettere a nudo contraddizioni e mali della Società rumena di ieri e di oggi.
Eppure ci sono temi che la cinematografia in questione ha sempre avuto qualche problema ad affrontare, ossia quelli legati al mondo LGBTQ+. Lo testimoniano i pochissimi film prodotti sino a questo momento, con un numero esiguo tale da suggerire quanto la Romania sia indietro in termini di accettazione della suddetta comunità. Motivo per cui all’opera prima di Eugen Jebeleanu dal titolo, per quanto ci riguarda punta di diamante del concorso lungometraggi del 38° Torino Film Festival, va riconosciuto il grande coraggio di averlo fatto, lo stesso che si può rintracciare in 5 Minutes Too Late di Dan Chişu, anch’esso incentrato sulla crisi esistenziale di un poliziotto omosessuale.<
Nel suo esordio, Jebeleanu prende liberamente spunto da un evento accaduto realmente a Bucarest per raccontare la storia di Cristi, un giovane poliziotto che vive un’esistenza apparentemente contraddittoria: lavora in un ambiente gerarchico e maschilista ed è un omosessuale riservato e geloso della propria vita privata. Nei giorni in cui Hadi, il ragazzo con cui ha una relazione a distanza, è venuto a fargli visita dalla Francia, Cristi viene chiamato per un intervento: un gruppo nazionalista e omofobo ha interrotto una proiezione di un film a tematica omosessuale. Quando uno dei manifestanti minaccia di smascherarlo, Cristi perde il controllo.
Ci troviamo al cospetto di un potentissimo dramma esistenziale che affronta di petto il tema dell’accettazione della propria identità, innescato quando le due vite del protagonista, tenute sino a quel momento separate, entrano in rotta di collisione. Poppy Field racconta con estremo realismo la “lotta” di un uomo costretto ad adattarsi alle esigenze etero-normative del suo ambiente che ne soffocano la vera natura e la possibilità di trovare la felicità come individuo gay. Cristi e Conrad Mericoffer che ne veste i panni incarnano alla perfezione, con la giusta temperatura emotiva, il conflitto e la vulnerabilità di molte persone LGBTQ+ che vivono in Romania (e non solo). Quello che va in scena tra le quattro mura di una sala cinematografica, che vista con gli occhi del mondo che sta combattendo una pandemia fa un effetto ancora più amplificato, è un conflitto che da interiore diventa pubblico quando le circostanze esterne e gli accadimenti non daranno più alternative. La sfida sarà dunque in primis con se stesso, per la riconquista del proprio equilibrio personale. Il tutto mentre intorno a lui si scontrano ferocemente due pensieri agli antipodi, che difficilmente troveranno un terreno comune sul quale dialogare, perché le posizioni in merito sono e resteranno lontane. E in tal senso, il film non dà false speranze e non mente mai allo spettatore in merito alla possibilità che questo possa verificarsi.
Dal canto suo, Jebeleanu punta su un impianto di tipo teatrale, rimanendo fedele alle sue precedenti esperienze che lo hanno visto più volte alla direzione di pièce allestite in palcoscenici di prestigio in tutta Europa, portando in scena vicende umane dal forte impatto sociale. Mission alla quale non è venuto meno neppure in questa sua prima e riuscita prova cinematografica. In Poppy Field trasforma la sala di un cinema in un “ring teatrale” dove la macchina da presa rigorosamente a mano pedina il protagonista senza abbandonarlo mai nemmeno un secondo. Tempi dilatati e inquadrature lunghe (efficacissimo il piano sequenza con il quale l’autore segue l’entrata nel cinema della gendarmeria e le fasi più acute della protesta) scandiscono questo kammerspiel di rara intensità, dove le parole fanno più male di qualsiasi violenza fisica.

Francesco Del Grosso

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