La scatola nera dei nostri segreti
Invito a cena con delitto: ma questa volta il colpevole è il cellulare. Quanti di noi, con particolare riferimento a chi frequenta spesso i teatri, non hanno visto di recente almeno una commedia degli equivoci di ambientazione contemporanea, il cui intreccio ruotasse intorno agli amori che sbocciano, si complicano o addirittura vengono meno, attraverso la mediazione esercitata da telefonini e social network? L’argomento è estremamente attuale. Perché le nostre abitudini, che la cosa piaccia o no poco importa, si stanno modificando a una velocità supersonica in base all’uso spesso compulsivo dei moderni mezzi di comunicazione. Qui forse sta il merito maggiore di un cineasta come Paolo Genovese, la cui vocazione umoristica è da sempre attenta a simili mutamente sociali: aver saputo trasferire nella sceneggiatura di Perfetti sconosciuti, scritta con la collaborazione di Filippo Bologna, Paolo Costella, Paola Mammini e Rolando Ravello, una parte consistente di quelle ansie, di quei malumori, di quegli atteggiamenti superficiali, di quelle piccole o grandi trasgressioni, di quella ricerca di simulacri posti a compensare determinate carenze affettive, che uno stile di vita condiviso ormai da molti tende a portarsi dietro, quale corollario non sempre comodo e talora decisamente molesto.
Ciò che ne risulta, in Perfetti sconosciuti, è un gioco delle coppie che diventa ben presto gioco al massacro. Il “casus belli” è rappresentato nella circostanza dalla cena tra amici organizzata in concomitanza di un’eclissi lunare, per dare a tutti la possibilità di incontrare Lucilla, la nuova fidanzata del bonario Peppe (Giuseppe Battiston). Ma il buon Peppe sarà invece l’unico a presentarsi “spaiato”, per via di un imprevisto subentrato all’ultimo minuto. Così le altre tre coppie, quasi a compensare la parziale delusione di non aver potuto conoscere la compagna dell’amico, lo coinvolgeranno e si abbandoneranno essi stessi a un giochino da masochisti incalliti: deporre tutti i cellulari sul tavolo e rendere pubblico qualsiasi SMS, allegato o chiamata arrivi loro durante la cena. Tutto questo anche come dimostrazione di fedeltà nei confronti del proprio partner. Ma non ci vuole molto per intuire che di scheletri nell’armadio ne spunteranno fuori tanti da riempire un’intera cripta di Frati Cappuccini…
Il rischio più forte di un plot del genere, concepito così da captare gli umori di un ceto borghese in preda a mille nevrosi e paranoie, era senz’altro quello di sfociare in una sagra di luoghi comuni, rivelazioni banali e sottotesti dal carattere assolutorio, come purtroppo era già accaduto con lo scialbo e irritante Dobbiamo parlare di Sergio Rubini. Quanto viene trovato nelle rispettive “scatole nere” (l’insieme delle informazioni contenute in ciascun cellulare verrà definito così, non senza acume, da uno dei protagonisti) è al contrario il pretesto di un’acidissima (tragi)commedia sentimentale che, tra battute fulminanti, dialoghi di inaudita ferocia e squallidi retroscena, farà venire a galla il marcio presente nell’insospettabile doppia vita di ciascun personaggio, senza rinunciare peraltro a qualche distinguo capace di evidenziare le poche relazioni autentiche. Si ride molto, ma soprattutto si ride in modo intelligente e sfrontato, nel film di Paolo Genovese, che almeno in parte si può dire abbia centrato il bersaglio. Del resto con attori come Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Kasia Smutniak e lo stesso Battiston, messi qui nelle condizioni di tirare fuori il meglio (e cioè il peggio, da un certo punto di vista) dai propri ruoli, un minimo di divertimento è comunque assicurato.
Trova conferma, insomma, quel dono che Genovese ha finora dimostrato di avere, sin dagli esordi in tandem con Luca Miniero, per approdare poi alle più recenti e solitarie regie di Una famiglia perfetta e Tutta colpa di Freud; ossia la capacità di gestire un cast di prim’ordine, creando situazioni piccanti e background personali in linea con la verve di ciascun interprete, così da porre l’accento su problematiche famigliari e dinamiche di coppia molto attuali. Nel realizzare ciò è semmai quel tanto di inventiva registica, di creatività dietro la macchina da presa, a latitare. Ogni ripresa appare tutt’al più funzionale alla tempistica dei fitti scambi di battute. E quando si vuole mettere qualcosa in più, la confezione del lungometraggio non appare più così solida: tanto per dire quella luna gigantesca che troneggia sui protagonisti, nella notte dell’eclissi, avrebbe avuto più senso in Armageddon. Ma su questo proviamo magari a soprassedere, accontentandoci di una commedia italiana non così futile, non così pretestuosa, come tante altre viste recentemente.
Stefano Coccia