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Dobbiamo parlare

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VOTO: 4

Rubini falsi

In un’edizione della Festa del Cinema di Roma dall’atmosfera strana, dove di film e documentari belli se ne sono visti parecchi ma è sembrato latitare un rapporto importante, quello tra pubblico e personalità del mondo dello spettacolo, il cinema italiano di qualità si è segnalato più che altro per la sua assenza. Con la vistosa eccezione rappresentata da Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, una piccola perla che ha finito per svettare nettamente sul resto, ciò che di italico si è visto ha sfiorato spesso e volentieri il patetico. Questo è purtroppo il caso del nuovo film di Sergio Rubini, Dobbiamo parlare.

Anche noi dobbiamo parlare, un po’ a malincuore, di un autore/interprete che aveva esordito alla regia con un autentico gioiello drammaturgico, La stazione (1990), per poi procedere registicamente tra alti e bassi, coi bassi che però negli ultimi anni hanno preso tristemente il sopravvento. Già dalla scelta di ambientare quest’ultimo, spento parto cinematografico in un suggestivo attico nel cuore dell’Urbe, si ha l’impressione che Dobbiamo parlare nasca morto. Ad ammazzarlo ci hanno pensato anzitempo Sorrentino e La grande bellezza. Sì, perché quell’altra terrazza, in cui Toni Servillo e le diverse anime in pena della cosiddetta “Roma bene” ballavano selvaggiamente, inebriatamente e soprattutto cafonescamente, a modo suo pulsava di vita. Per quanto cotanta vitalità non fosse altro che lo specchio di una decadenza profonda.
Al contrario, il modesto film di Rubini si rintana nel suddetto attico per mettere in scena lo scontatissimo confronto, inevitabilmente teatrale, tra due coppie in crisi, che rappresentano una le ipocrisie di un certo ambiente intellettuale e l’altra la volgarità dichiarata dei nuovi ricchi. Come se non bastasse la banalità dell’intreccio, appena vivacizzato dalla presenza di un pesce rosso la cui voce fuori campo commenta soggettivamente le deprimenti relazioni affettive, che i padroni di casa e la coppia ospite rendono pubbliche, alcuni dialoghi sotto la soglia del buonsenso e un montaggio per niente curato affossano definitivamente le ambizioni artistiche di questa risaputa commedia, che ha inoltre il demerito di rispecchiare troppo superficialmente i tempi in cui viviamo.

A cosa puntava Sergio Rubini? A emulare un prototipo di altissimo valore, quale può essere Carnage di Polanski, o almeno qualche arguta commedia francese stile Cena tra amici? In ogni caso il livello di irriverenza è troppo basso per garantire il risultato. E la consolidata bravura degli interpreti (Isabella Ragonese, Fabrizio Bentivoglio e Maria Pia Calzone, oltre allo stesso Rubini) non basta a nobilitare uno script, che appare persino indulgente nella sua incolore satira verso coppie benestanti così insulse e svincolate dalla realtà

Stefano Coccia

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