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Onward – Oltre la magia

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VOTO: 6.5

Un compleanno da ricordare

Tendenzialmente si potrebbero suddividere i lungometraggi targati Pixar – anche e soprattutto dopo la fusione con Disney – in due categorie: i capolavori e le opere cosiddette “di transizione”, cioè di attesa verso altri exploit. In quest’ultima definizione trova la propria destinazione Onward – Oltre la magia, diretto da quel Dan Scanlon già artefice di Monster University (2013) e un po’ penalizzato da difetti abbastanza evidenti. In primo luogo una trama poco originale, decisamente pigra e a tratti confusa, che vede l’adolescente Ian nel giorno del suo sedicesimo compleanno, appurato di possedere antichi poteri magici, mettersi on the road per una complicata missione di ricerca di una pietra preziosa in grado di riportare in vita il defunto papà, del quale è disponibile solo la metà inferiore, dal bacino in giù. Ian verrà accompagnato nell’avventura dal fratello Barley, casinista e generoso oltre ogni limite. Brevi cenni del plot che non raccontano del tutto in quale misura Onward sia derivativo. Come una favola parte con una sincera elegia alla magia dei bei tempi andati, di un altro mondo possibile ormai annullato dalle ferree leggi del progresso. Passa poi all’omaggio al classico teen movie scolastico alla John Hughes, con il giovanissimo Ian alle prese con il senso di inadeguatezza tipico della sua età. Svolta poi nell’avventura alla Indiana Jones, ricca di trappole da evitare e creature messe lì a mo’ di ostacolo in stile videogioco. E Barley, il fratello, evidentemente mutuato sull’ingombrante figura, fisica e caratteriale, dell’attore canadese John Candy, autentico archetipo del logorroico dal cuore grande reso celebre proprio dalle pellicole da lui stesso interpretate per John Hughes. Qualche strizzatina d’occhio simpatica, insomma, che non impedisce all’adulto di annoiarsi nobilmente in vista del pirotecnico epilogo. Dove finalmente emerge in modo nitido quello che rappresenta il messaggio esplicito di ogni opera Pixar, ovvero la cristallizzazione di un momento di crescita importante nella vita – fittizia ma neanche troppo – dei vari protagonisti messi in scena.
Superfluo, allora, sottolineare ancora una volta l’effetto-verità di un’animazione che appare coordinata come una vera e propria regia cinematografica, con tanto di direttori della fotografia (ben due!) impegnati a fornire sfumature di luminosità più che degne di qualsivoglia pellicola girata in live action. Non bastasse ciò, a fornire una decisiva captatio benevolentiae per pubblici di ogni età ecco la consueta, suprema, attenzione nello sbozzo dei personaggi, dai principali a quelli di contorno. Il punto di forza di Onward risiede proprio in quest’aspetto: nel meccanismo di identificazione in grado di far scattare l’empatia tra platea e grande schermo, fattore del tutto abituale alla rinomata casa di produzione californiana specializzata in animazione. Perché alla fine il percorso esistenziale intimo intrapreso da Ian va perfettamente a combaciare con quello di chiunque ne ammiri le gesta al cinema. Si cresce e quasi non ci si accorge di farlo, come ben indicato da quel taccuino pieno di metaforici punti interrogativi che Ian alla fine si rende conto di aver colmato. Spettatore, come tutti quelli comodamente seduti in poltrona, ad osservare con grande commozione l’ultimo abbraccio paterno rilasciato a Barley, prima di scomparire per sempre. Sarebbe allora il caso di coniare un nuovo detto: anche in un film Pixar dichiaratamente di non eccessive aspettative, c’è sempre da attendersi il guizzo di una fucina di talenti davvero unici poiché capaci di captare con sensibilità assoluta ed orecchio fine la purezza della poesia. Quella che risuona armonicamente al pari di una melodia che non ci si stanca mai e poi mai di ascoltare.

Daniele De Angelis

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