Girolago d’autore
Innanzitutto la fredda cronaca delle ultime settimane: si sarebbe dovuta svolgere il 10 marzo scorso a Roma, preceduta dalla proiezione del primo episodio, la conferenza stampa dell’attesissima serie TV in quattro puntate diretta da Andrea Molaioli, Bella da morire. Ovviamente l’incontro in RAI non vi è mai stato, stoppato per tempo dai primi provvedimenti relativi all’emergenza coronavirus. Ma a noi giornalisti è stato inviato comunque tutto il materiale stampa inerente alla serie. Ad esserci trasmessa assieme a foto di scena e comunicati, più che altro, è stata la forte curiosità nei confronti di un prodotto televisivo che si poteva supporre superiore alla media, data la firma in questione.
Già, Molaioli. Se si è soliti dire che “l’assassino torna sempre sul luogo del delitto”, si potrebbe scherzosamente affermare che qualcosa del genere capita anche a certi autori. Il regista, fattosi conoscere sul grande schermo grazie a La ragazza del lago e ai premi che gli valse tale debutto, con le ambientazioni lacustri può vantare un feeling particolarissimo, indiscutibile, a quanto pare. Un’attrazione quasi irresistibile per i laghi… e per il crimine.
Se il suo lungometraggio d’esordio ci aveva profondamente affascinato, sia per le atmosfere che per l’approfondimento psicologico dei personaggi, era quindi lecito riporre qualche speranza anche in questa mini-sere televisiva. Consapevoli, tra l’altro, che dopo aver realizzato per il grande schermo un lungometraggio raffinato e generalmente sottostimato come Il gioiellino, Molaioli ha avuto modo di cementare il proprio rapporto con la produzione a episodi ponendosi al timone di Suburra – La serie, le cui stagioni finora messe in onda portano la sua firma. Abbiamo pertanto deciso di sostenerne con fiducia il ritorno alla serialità, seguendo sulla RAI tutte le puntate della nuova serie fino all’epilogo di domenica 5 aprile.
Siamo partiti da qualche considerazione semi-seria sull’apparente rapporto affettivo del regista nei confronti dei laghi. Ma è più precisamente il fascino dell’elemento liquido ad imporsi, sin dal primo episodio di Bella da morire. O meglio, sin dalle primissime scene, che vedono la protagonista Cristiana Capotondi alias ispettrice Eva Cantini, specializzata in femminicidi, cimentarsi nei consueti esercizi di apnea in piscina…
Poi il suo ritorno, in seguito a sofferte dinamiche famigliari, nel paesino d’origine: l’immaginaria località dell’Italia centro-settentrionale viene chiamata Lagonero, trattasi in realtà di suggestive location scovate ad Anguillara e in altre zone del Lago di Bracciano. Il ritorno a casa coincide però con un macabro delitto, ossia la scomparsa di una bella e forse ingenua ragazza, Gioia Scuderi (l’incantevole Giulia Arena), ritrovata poi morta nel suddetto lago.
Un viaggio per certi versi “uterino” dalle acque trasparenti di una piscina a quelle cupe, scure di Lagonero, con tutte le piccole insidie che pure i bagnanti farebbero bene a considerare. Metaforicamente (e metonimicamente) è anche questa l’anabasi dell’ispettrice Eva Cantini. Ma la “liquidità” (nel senso che gli darebbe Zygmunt Bauman) si avverte qui negli stessi rapporti umani, in relazioni famigliari tendenti all’incomunicabilità, nella tensione costante tra l’elemento maschile e quello femminile, nello scarso valore che qualcuno ha attribuito alla vita di quella ragazza innocente, Gioia, simile nella folgorante apparizione iniziale e nei ricordi successivamente riesumati a una Laura Palmer nostrana, di provincia.
Insomma, anche in un prodotto concepito per il piccolo schermo, come questo, Molaioli conforma tutta la sua scrupolosa attenzione per i ritratti ambientali, per il background socio-antropologico del territorio esplorato (che era già tra i punti di forza de Il gioiellino, volendo fare un piccolo passo indietro) e per l’introspezione dei personaggi. In ciò lo ha senz’altro aiutato un casting accorto, ben concepito, a partire dai comprimari. Una vera e propria rivelazione, con quella sua sofferta, contraddittoria, comunque schietta umanità, l’irruento poliziotto impersonato da Matteo Martari. Lo stesso dicasi per la stralunata coroner Anita Mancuso alias Margherita Laterza.
Si può poi affermare che la classe e l’esperienza dei vari Gigio Alberti, Lucrezia Lante Della Rovere, Elena Radonicich, Paolo Sassanelli, Anna Ferruzzo e Duccio Camerini abbiano valso da garanzia, all’interno di un cast teso a valorizzare elementi come la solidarietà femminile, ma non certo privo di figure maschili dal temperamento focoso, degno di nota.
Riguardo alla protagonista, per quanto carismatica Cristiana Capotondi non è attrice cui attribuiamo in genere grossi scavi psicologici e significativi cambi d’espressione. In più, quel suo ruolo di donna tosta e all’apparenza intrattabile riemersa a fatica dai tanti, troppi traumi affrontati, può essere debitore, visto il proliferare di certi personaggi nella fiction italiana attuale, di altre interpretazioni emotivamente cariche, quale ad esempio quella così centrata di Gabriella Pession in Oltre la soglia. La scelta della Capotondi, tuttavia, ci è parsa assai indovinata ed incisiva per un simile personaggio, indubbiamente grintoso, algido, quasi sprezzante, ma capace al contempo di gesti e decisioni di grande generosità.
Lo stesso script, dal canto suo, può non essere esente da critiche, considerando il carattere declamatorio e un po’ didascalico che nei dialoghi assume, a tratti, la questione di genere. E lo stesso epilogo lascia qualche dubbio, risolvendo in maniera un po’ troppo sbrigativa, schematica, la difficile situazione nella quale si erano trovati incastrati i protagonisti. Piccole pecche di scrittura, per un prodotto che resta comunque al di sopra della media televisiva per varie ragioni, tra cui spiccano l’insolita capacità introspettiva, il felice alternarsi di toni drammatici ed inserti umoristici, nonché la regia attenta tanto alle componenti classiche del giallo che all’anima più profonda dei luoghi rappresentati.
Stefano Coccia
Bella da morire è disponibile per la visione gratuita su Raiplay.