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Nonno scatenato

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VOTO: 4

Lo Spring Break della terza età

C’era una volta in America un attore chiamato Robert De Niro. Un artista a tutto tondo capace persino di rifuggire il temuto status superficiale di icona, grazie alle proprie capacità mimetiche ed al talento infinito. Purtroppo l’arrivo di un’età avanzata porta spesso problemi, se non di salute perlomeno sul piano professionale. Uno di questi si chiama bulimia recitativa. Forse, con l’inevitabile approssimarsi del tramonto, cadono i cosiddetti freni inibitori e si è disposti a ricoprire qualsiasi ruolo pur di lavorare e mettere qualcosa (molto) da parte per le generazioni future. Di campanelli d’allarme ne erano suonati parecchi, in un passato recente. La partecipazione al terzo Manuale d’amore di Giovanni Veronesi (2011), ad esempio. Oppure la presenza, nel medesimo anno (!), nel cinepanettone a stelle e strisce Capodanno a New York di Garry Marshall. E ancora gli stanchi e stiracchiati Motel (2014) oppure Lo stagista inaspettato (2015), produzioni in cui il buon Bob risultava un corpo estraneo, trapiantato a forza in un contesto – ora drammatico, ora comico – dal quale trapelava solo un evidente disagio. Nulla però di quanto fatto nel recente passato poteva preparare il pubblico ad uno scempio come Nonno scatenato del carneade Dan Mazer, autentico nadir di una carriera unica ed irripetibile. Si fosse intitolato, come era previsto all’inizio secondo una traduzione abbastanza fedele dell’originale Dirty Grandpa, Nonno zozzone, ebbene avrebbe forse reso meglio l’idea e instillato nelle menti degli spettatori/ammiratori il dubbio che il film potesse essere quello che in realtà si è rivelato: cioè una marchetta cinematografica senza alcun capo e nessuna coda. Assente in contumacia la sceneggiatura Nonno scatenato racconta – si fa per dire… – l’epopea di tale Dick Kelly (De Niro, appunto), ultrasettantenne da pochissimo vedovo il quale, dopo trent’anni di onorata fedeltà matrimoniale, avverte l’insopprimibile desiderio di inzuppare nuovamente il biscottino. Ci scusiamo per il linguaggio volgare, ma vi assicuriamo che è nulla rispetto a quello che si vede e si ascolta nel film. E precisiamo anche che ogni accostamento con la volgarità linguistica del coevo Grimsby – Attenti a quell’altro con Sacha Baron Cohen è del tutto fuori luogo. In quest’ultimo il trash è studiata e perciò consapevole forma di espressione visiva e verbale, inserita ad hoc nella narrazione; in Nonno scatenato solo una sequela di battutacce e situazioni banali gettate a random in faccia allo sventurato pubblico.
Chiusa parentesi e torniamo al film, se vogliamo definirlo tale. C’è anche Zac Efron – per l’occasione in versione “pesce surgelato” – ad interpretare il nipote yuppie (esistono ancora?) in procinto di noioso matrimonio ma destinato ad accompagnare il nonno in un viaggio simbolicamente primaverile che si rivelerà pieno di sorprese. Sulla carta. Vedendo il film, invece, il classico conflitto generazionale si riduce alla solita lezione morale sulle gioie della vita impartita dal più anziano al più giovane. Come se il lungometraggio di Mazer suggerisse per tre quarti della propria durata che una sana libidine possa distogliere dallo stress della nefasta azione sociale contemporanea – parafrasando la celebre canzone di Zucchero – ma che il finale riconduca il tutto alla sacralità del vero amore e della famiglia. Non spoileriamo per coloro che abbiano intenzione di avventurarsi al cinema, ma assicuriamo che il post scriptum è davvero agghiacciante. Tenendo presente che Nonno scatenato non è certo un horror, almeno dal punto di vista convenzionale. Ma per altri versi potrebbe davvero essere considerato tale.
L’unica, superflua, curiosità nell’assistere a Nonno scatenato risiede nel riconoscere i vari personaggi della sua gloriosa carriera che De Niro tenta, blandamente, di richiamare alla memoria nel film. Chi li indovina tutti si regali l’ennesima visione di Toro scatenato di Martin Scorsese (1980). Decisamente altri tempi e altro Robert De Niro…

Daniele De Angelis

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