Bambolina e barracuda
Così cantava il buon Luciano Ligabue diverso tempo fa. Un passato in cui gli horror con bambole o bambolotti posseduti da spiriti a dir poco maligni garantivano brividi duraturi agli appassionati. Il vento è ora cambiato, come recentemente dimostrato ad esempio dal remake de La bambola assassina (2019). Lungometraggio dove non era presente nessuna traccia, all’interno dell’involucro del mitico Chucky, del defunto serial killer Charles Lee Ray. Ora la principale fonte di terrore è una tecnologia così avanzata da risultare assai propensa a sfuggire al controllo umano.
All’alba del 2023 ecco allora profilarsi all’orizzonte M3gan, bambola ultra-sofisticata quasi a grandezza naturale incaricata di una sorta di maternità putativa, in assenza fisica o morale – per i più svariati motivi – dei genitori biologici. Nel film diretto dal neozelandese Gerard Johnstone (da tenere d’occhio!) viene progettata da Gemma, giovane ma geniale ingegnere di una società produttrice di giocattoli. La quale “testa” il nuovo prodotto sulla nipotina Cady, rimasta orfana a seguito di un terribile incidente stradale.
Inoltrarsi nei dettagli della narrazione di M3gan significherebbe sconfinare nei territori dell’ovvio, con in più il rischio di spoiler affatto graditi a chi leggerà queste righe. Molto più interessante, nel caso di M3gan, è la modalità attraverso cui si arriva ai vari snodi del plot. Maggiore attenzione, allora, alle dinamiche dei rapporti tra i tre personaggi sul proscenio di questo fanta-horror che “rischia”, botteghino permettendo, di divenire la nuova saga 2.2 del sottogenere bambole insidiose. Le difficoltà di Gemma (Allison Williams, melliflua fidanzata wasp in Scappa – Get Out di Jordan Peele) ad assumere un ruolo genitoriale la spingono ad accelerare la progettazione del prototipo chiamato appunto M3gan, al fine di compensare le carenze affettive della piccola nipote. L’errore, s’intuisce nel film, è quello di lasciare nella memoria artificiale della bambola alcuni vuoti, che M3gan provvede a colmare imitando alcuni comportamenti tipici della natura umana. Divenendo cioè iper-protettiva nei confronti di Cady ma anche molto vendicativa verso coloro, persone e animali, che le fanno del male. Si creano dunque le premesse per un’avvincente processo parallelo, nel corso del quale entrambe le figure, Gemma e M3gan, acquisiranno un’anomala consapevolezza materna. Destinata, come prevedibile, a sfociare in un duello finale al calor bianco discretamente coinvolgente a livello emotivo per ogni spettatore. Un redde rationem che vedrà in Cady, ben presto così assuefatta dalla presenza di M3gan da divenirne dipendente, la vera variabile decisiva.
Se a tutto ciò aggiungiamo che la figura di M3gan – interpretata da una piccola attrice con il supporto della computer graphic – risulta inquietante di suo e che nel film sono presenti diverse strizzatine d’occhio che faranno la gioia dei cinefili (il Robocop primigenio, soprattutto; ma anche Gremlins e molto altro) non resta che ammettere come questo primo parto della sin qui inedita sinergia produttiva tra Jason Blum con la sua Blumhouse e James Wan – peraltro artefice della storia originale – con l’Atomic Monster riesca ad offrire quanto promette in partenza. Con la sequenza del folle balletto rock di M3gan a precedere un paio di truculenti omicidi che rischia di avere il medesimo successo virale di quello inscenato da Jenna Ortega nella coeva serie televisiva Mercoledì. Un’autentica moda dei nostri tempi social, verrebbe da definirla…
Daniele De Angelis