L’altra faccia dei Beach Boys
Love and Mercy – titolo quanto mai poetico e significativo – è un biopic realizzato con passione e ed estremo rispetto per la verità, presupposti che ne contraddistinguono la buona riuscita. Protagonista di questo acuto sguardo a posteriori sulla propria, tormentata, esistenza è Brian Wilson, nome che forse dirà pochino ai non esperti di musica ma che rappresenta una vera icona nel settore, trattandosi del fondatore dei mitici Beach Boys, gruppo creato nel 1961 e capace di rimanere sulla cresta dell’onda – espressione appropriata, dato il “messaggio” iniziale che la banda propugnava, sulla spensieratezza della vita balneare californiana – per vari decenni.
Realizzato dal produttore Bill Pohlad (nel suo curriculum titoli prestigiosi come The Tree of Life di Terrence Malick e 12 anni schiavo di Steve McQueen), salito nel progetto agli onori della regia per la sua estrema competenza sull’argomento, Love and Mercy è narrativamente strutturato in due distinte fasi temporali capaci di alternarsi in modo fluido: gli anni sessanta degli esordi del gruppo ed il periodo degli ottanta, dove Brian Wilson raggiunge il punto più basso della propria condizione psicologica, fortemente minata dall’assunzione di droghe e psicofarmaci. Decisamente azzeccata, al fine del buon risultato del film, la scelta di affidare a due ottimi attori le differenti età del protagonista. Se l’eccellente Paul Dano, nella versione giovanilistica di Brian Wilson, riesce a far risaltare tutta la fragile sensibilità di un ragazzo geniale e metodico nella composizione artistica ma affetto da fobie – tipo la paura dell’aereo – che lo avrebbero poi condotto sull’orlo di un’irreparabile patologia psichica, è John Cusack a farsi carico della parte maggiormente impegnativa, quella in cui un Wilson più che quarantenne, soggiogato dalla personalità alfa dello pseudo psicoterapeuta Eugene Landy, tenta disperatamente di uscire dal suo giogo con il determinante affetto di Melinda Ledbetter, donna conosciuta nelle fasi dell’acquisto di un’automobile. Love and Mercy, grazie ad un’ottima sceneggiatura firmata dal bravo Oren Moverman (regista in proprio dei pregevoli Oltre le regole – The Messenger e di Time Out of Mind, di imminente uscita italiana) e Michael A. Lerner, approfondisce con cognizione di causa le problematiche del personaggio principale, non rinunciando affatto ad una descrizione meticolosa dell’ambiente a lui circostante, pieno di falsi amici e segnato dalla presenza ingombrante di un padre dalla personalità assai negativa. Un momento chiave, nella discesa negli inferi della dipendenza da parte di Brian Wilson, quello dove il genitore decide sciaguratamente di mettersi in concorrenza simbolica con il figlio, invidioso del suo successo. Nell’efficacemente drammatico tratteggio del rapporto padre/figlio risiede uno dei principali motivi dell’empatia che suscita l’intera pellicola; oltre ad un ottimo gioco d’attori che coinvolge, oltre ai menzionati Paul Dano e John Cusack, anche Elizabeth Banks nel ruolo della salvifica compagna e Paul Giamatti, ormai specializzato in ruoli ingrati come quello di Eugene Landy in questo film.
Nonostante una regia sin troppo pacata nei ritmi per gran parte della durata, soprattutto attenta a non prendersi alcun rischio formale, è grazie alle loro interpretazioni che Love and Mercy rimane un’opera da vedere e consigliare. Per comprendere meglio cosa si nasconde ad occhi profani dietro il luccicante scintillio delle cosiddette “luci della ribalta” nonché arrivare all’autentica essenza di una persona in grado di vivere più volte un’esistenza ricca tanto di successo e lusso quanto irta di ostacoli e delusioni affettive. Tematiche non certamente nuove ma sempre cangianti rispetto alla personalità messa in quadro come soggetto/oggetto del racconto. E forse anche per concedere il beneficio di un nuovo giudizio artistico nei confronti di un modello musicale – quello appunto dei Beach Boys – forse troppo frettolosamente definito “disimpegnato”.
Daniele De Angelis