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Los decentes

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VOTO: 7

Freedom

È stata presentata, in concorso, alla 34esima edizione del Torino Film Festival l’opera seconda di Lukas Valenta Rinner, Los decentes. Tutto parte con un colloquio di lavoro, vediamo alcune candidate, con alle spalle le veneziane che creano quasi un gioco metaforico di come, forse, nella società contemporanea ci si senta in trappola, quasi in cella. Ascoltiamo le stesse domande di selezione, ma quando compare Belén (Iride Mockert) intuiamo subito che sarà lei la protagonista. Il regista austriaco crea un equilibrio sottilissimo servendosi anche degli ambienti, capaci di diventare co-protagonisti ed esemplificativi di ciò che il cineasta vuole comunicare.
Basta varcare la soglia del cancello del luogo di lavoro che le è stato assegnato per comprendere che siamo nell’alta società argentina. La casa della famiglia presso cui va a prestare servizio è bianca, con linee geometriche, un pavimento di cemento liscio per cui è necessario il prodotto specifico e dove tutto ha un suo ordine prestabilito, comprese le tazzine da sistemare in credenza.
La donna ci appare silenziosa nel portare avanti i suoi compiti, dallo stesso volto sembra non trasparire alcuna emozione. Quasi a fare da contraltare ci pensa la padrona di casa (con un figlio ossessionato dallo sport e poco loquace), desiderosa di compagnia e di non sentirsi sola tanto da richiedere la presenza di Belén anche in piena notte. La percezione che si ha è che la signora agiata viva nei ricordi (basti pensare a certi video che propina) e in una solitudine che non può essere ricompensata dalla ricchezza.
In un luogo super blindato, con il vigilante, composto da famiglie dell’upper class argentina, mentre pota i cespugli in giardino, la donna scorge qualcosa che la disturba e, al contempo, la incuriosisce. Con la colonna sonora adeguata, Rinner tenta di far crescere nello spettatore quel desiderio di sapere che sta vivendo Belén in quel momento. Premendo il pulsante si spalanca un cancello che rivela immediatamente la natura di quel luogo: una comunità di nudisti ha cercato, con le unghie e con i denti, un proprio spazio per rientrare in contatto col proprio corpo e con quello altrui.
Per una donna che sembra chiusa in sé e legata a certi principi, istintivamente quella realtà può spaventare, eppure si rivelerà, poco dopo, un canto di sirene che non può non attrarre.
Questo incontro diventa, innegabilmente, una possibilità per Belén di conoscere se stessa liberandosi di certi tabù, ma è anche il pretesto per mettere in scena i diversi volti di una società.
«Ho vissuto a lungo in Argentina, e in questo paese le classi abbienti hanno ormai la tendenza a isolarsi. Sempre più spesso vivono in piccole comunità completamente indipendenti, con infrastrutture semiurbane come asili, uffici, supermercati e cinema che consentono loro di vivere senza alcun contatto col mondo esterno. Poi vedi dei ragazzi di sedici anni che arrivano in città e non sanno neppure prendere un autobus» (dalle note di regia).
L’idea di confine, che divide due “classi” o gruppi, fa venire subito in mente La zona di Rodrigo Plá, in cui venivano mostrate le condizioni di vita (se così si possono chiamare per tutti) e le relative contraddizioni dell’area suburbana attorno a Città del Messico. In quel caso due gruppi sociali (abbienti e non) arrivavano a scontrarsi. Qui qualcosa accade tra le due parti, ma non vogliamo togliervi il gusto di scoprirla se avrete occasione di vedere Los decentes. L’obiettivo della macchina da presa ha un approccio quasi documentaristico, registra spesso con inquadrature fisse e a distanza, quella che è la situazione (per cui si è lasciato ispirare dalla realtà). Belén, nella sua evoluzione, esprime tutta la scissione, con un volto che inizia ad essere espressivo al di là del filo spinato. Il regista austriaco riesce a far riflettere, ponendo in campo l’arma della satira, come ci si costruisce dei castelli nella gabbia dorata senza esser felici o quantomeno realizzati. Inquieta il solo pensiero di come per difendere la propria libertà ci voglia il filo spinato, sempre che sia una vera libertà.
Rinner fa lavorare i suoi attori in sottrazione, a partire dalla protagonista, è come se volesse far arrivare alla platea di turno più i momenti di passaggi, che non un’emotività di pancia e dirompente.
Los decentes si rivela un lungometraggio interessante, non solo per l’analisi sociale, ma anche per come tematizza alcuni aspetti sulle differenze di classe e l’incomunicabilità tra uomini – argomenti certo già trattati in campo artistico, ma su cui può esserci sempre uno sguardo personale.

Maria Lucia Tangorra

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