Vietato fermarsi
Una coppia di ladri amici di vecchia data cerca di mettere a segno una rapina in banca nel pieno centro di Los Angeles. Quando il colpo va male, i due decidono di dirottare un’ambulanza per tentare di fuggire, non immaginando che al suo interno ci sia un’infermiera e un poliziotto ferito che necessita di andare in ospedale. La fuga ad alta velocità tra le strade della città si fa sempre più rocambolesca e le forze dell’ordine si spargono per tutta la città.
Se dei particolari presenti nella sinossi di Ambulance di Michael Bay risvegliano in voi ricordi più o meno vaghi di qualcosa di già visto, sappiate che non è la memoria a farvi brutti scherzi. Basta riavvolgere le lancette sino al 2005 per averne conferma. All’epoca usciva nelle sale danesi un film dal titolo Ambulancen (attualmente presente nel catalogo di Netflix per chi volesse recuperalo), scritto e diretto da Laurits Munch-Petersen, che racconta le disavventure di due fratelli che per disperazione compiono una rapina in banca, per poi sequestrare un’ambulanza che senza saperlo trasporta a bordo una paramedica e una donna bisognosa di cure, che scherzo del destino è la loro madre. Effettivamente i conti tornano, con una serie di chiare ed evidenti analogie nella vicenda narrata che legano a doppia mandata le due pellicole, dichiarando apertamente che il plot in questione non è farina del sacco di Chris Fedak, al quale Bay ha affidato la sceneggiatura della sua ultima fatica dietro la macchina da presa, ma del collega scandinavo. Ma per carità non si tratta di un plagio, bensì di un remake a tutti gli effetti, con lo sceneggiatore statunitense che ha preso in mano lo script originale, apportando ad esso delle piccole modifiche che hanno permesso a Bay di cucirsi addosso il film e plasmarlo a immagine, somiglianza e soprattutto estetica del suo cinema. In tal senso, il plot e i personaggi che animano Ambulance sembrano fatti su misura per lui e per il suo modo, ormai inconfondibile e riconoscibile a una prima occhiata, di creare prodotti audiovisivi dove la confezione conta più del contenuto e mai viceversa.
I cambiamenti apportati in fase di riscrittura mettono nelle condizioni il cineasta statunitense di dare forma più che sostanza a una pellicola che si va a integrare alla perfezione con il resto della sua nutrita filmografia. Lo ritroviamo dunque alle prese con un nuovo action che pompa adrenalina nel cuore di un buddy movie, con l’ennesima coppia agli antipodi per pensiero e azioni che deve trovare una via d’uscita per evadere da una situazione al limite. Un copione che nel cinema del regista losangelino si ripete puntualmente e dal quale sembra non avere la minima intenzione di distaccarsi. Motivo per cui gli spettatori dei suoi film devono accettare giocoforza le poche e semplici regole d’ingaggio che vogliono l’opera di turno, con questa che non fa eccezione, sorretta da una storia ridotta all’osso, ossia a quel minimo sindacale narrativo e drammaturgico per consentirgli di riversare sullo schermo un’overdose di scene d’azione sparate sullo schermo come una scarica di mitraglietta.
Lo spettacolo non viene mai meno ed è sempre di altissimo livello, con movimenti di macchina vorticosi (vedi l’utilizzo del drone nelle scene degli inseguimenti) e una cinepresa indiavolata che non conosce soste. Lo show balistico, automobilistico e dinamitardo da solo vale il prezzo del biglietto, con una maionese impazzita di inquadrature che trovano nella iper-cinetica e nelle performance in primis fisica degli attori scritturati (stavolta tocca alla coppia formata da Jake Gyllenhaal e Yahya Abdul-Mateen II, supportata dalla bella mozzafiato di turno Eiza González) i compagni di giochi ideali.
Francesco Del Grosso