Libera di essere…
Se c’è un regista che ha lasciato un segno tangibile del suo passaggio sugli schermi del Festival del Cinema Europeo, quello è senza ombra di dubbio Joachim Trier. Il cineasta nato in Danimarca ma naturalizzato norvegese ha infatti scritto più volte il suo nome nel palmares della kermesse salentina, laddove ha vinto per ben due volte il prestigioso Ulivo d’Oro con Reprise e Oslo, August 31st. Il ché lo ha fatto entrare di diritto nella storia del festival, che non poteva che scegliere la sua ultima fatica dietro la macchina da presa, la quinta di una pluridecorata filmografia, come film di chiusura della 22esima edizione.
Si tratta di La persona peggiore del mondo, presentato a Lecce a una manciata di giorni dall’uscita nelle sale nostrane e dopo l’anteprima nel concorso della 74º Festival di Cannes, dove la protagonista Renate Reinsve ha vinto il premio per la miglior attrice. Un riconoscimento, questo, che oltre ad essere meritato, sottolinea quanto importante sia nell’economia dell’opera e per la sua riuscita la straordinaria performance della trentatreenne scandinava di Solbergelva, autentico talento da tenere sottocchio da qui ai prossimi anni. È lei a cucirsi addosso come una seconda pelle un personaggio scivoloso, complesso, tridimensionale e ricco di sfumature, di quelli che chi fa il suo stesso mestiere pagherebbe oro per interpretare. Facendolo suo ne diventa il valore aggiunto e il motore portante, trasformandolo nel baricentro solidissimo su e intorno al quale la scrittura di Trier ha potuto dare forma a sostanza a un ritratto femminile di grandissima forza e autenticità, che moltissime spettatrici ameranno alla follia e nel quale potranno riconoscersi.
Lontano dagli stereotipi e al contempo da una visione stucchevolmente femminista, La persona peggiore del mondo propone una visione moderna di una donna che al netto di fragilità, paure e incertezze è libera di fare e soprattuto di essere, con tuttociò che comporta. Il suo nome è Julie, una donna di Oslo prossima ai trent’anni che non riesce a trovare il suo posto nel mondo né a dare un ordine alla sua caotica esistenza. La ragazza non sa ancora quale percorso professionale intraprendere, per non parlare della sua vita sentimentale, che storia dopo storia si rivela puntualmente un disastro. Di conseguenza deve riconoscere con riluttanza di non avere ancora combinato niente e che ciò non sembra destinato a cambiare in tempi brevi: a peggiorare le cose, Aksel, il suo fidanzato più grande e autore di graphic novel di successo, le fa pressione per accasarsi. Una notte, Julie partecipa a una festa, dove incontra il giovane e affascinante Eivind. Rotto con Aksel e lanciatasi in questa nuova relazione, spera di riuscirvi a cambiare il corso delle cose, ma presto si rende conto che alcune possibilità sono ormai alle sue spalle.
Incentrato sugli ultimi quattro anni dell’esistenza della protagonista, La persona peggiore del mondo è un coinvolgente romanzo di formazione suddiviso in dodici capitoli, ai quali si vanno ad aggiungere come vuole l’architettura letteraria un prologo e un epilogo. I capitoli scandiscono la l’educazione sentimentale e alla vita di una donna, ma senza la presunzione di volere parlare in generale di cosa significhi esserlo oggi, perché sarebbe impossibile. Quello di Trier si avvicina piuttosto a una “radiografia” che passa attraverso situazioni e fasi variegate e cangianti. I temi del femminile contemporaneo del quale si fa carico con coraggio e senza peli sulla lingua, dal metoo alla maternità, dalle mestruazioni al sesso orale, vengono declinati e restituiti con pennellate ricche di sfumature di colore, che attingono alla tavolozza della commedia e del dramma. La scrittura usa l’arma affilata e pungente dell’ironia nordica, mescolata con un afflato romantico e melò, per colpire nel segno e conquistare la platea, mandandola al tappeto con alcuni momenti capaci di strapparti il cuore dal petto e ridurlo in frantumi come nel caso nel capitolo 11. Qui il racconto tocca il punto più alto, con il dialogo prolungato tra Aksel e Julie nel giardino, nel bar e nella stanza dell’ospedale, che per emozionalmente raggiunge una temperatura elevatissima e regala brividi che percorrono la schiena.
Francesco Del Grosso