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Roe v. Wade

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VOTO: 6,5

Luci ed ombre della legge sull’aborto

Seppur discutibile per il suo sfacciato approccio cattolico prolife, Roe v. Wade, la docufiction di Cathy Allyn e Nick Loeb in concorso alla 2ª edizione del Mescalito Biopic Fest, offre diversi spunti interessanti di riflessione quanto mai attuali.

Raccontando la genesi della controversa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che nel 1973 sancì la possibilità per la donna di abortire per qualsiasi ragione fino al punto in cui il feto diventa in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero materno, e condizionò la legislazione di 46 Stati su 50, Allyn e Loeb svelano il backstage di quella che fu una battaglia mediatica prima ancora che giudiziaria. Lo schieramento dei due opposti fronti, alleanze e ricatti velati, manipolazione dei media, statistiche inventate, legami della prima sostenitrice dell’aborto per le donne di colore con il Ku Klux Kan e dei giudici della Corte con il movimento pro-choice; appare palese, dall’impronta dichiaratamente prolife del film, l’evidente politicizzazione della storica decisione presa, che viene così messa in discussione de facto se non de iure.

De iure, oggi, è invece il ripristino della legge antiaborto in Texas, che viola la storica sentenza del 1973, a testimoniare l’attualità del tema proposto, che è uno dei punti a favore della docufiction di Allyn e Loeb. Attualità che riscontriamo anche nell’uso manipolativo dei media, che dovrebbe essere spunto di riflessione ancora oggi; prolife e prochoice, dopo due anni di psicopandemia, potrebbero benissimo essere provax e novax, oggetto entrambi dell’evoluzione di quella manipolazione mediatica che ha origine nel passato.

Rimanendo ancorati a Roe v. Wade, la lotta tra il medico abortista Dott Bernard Nathanson e la strenua attivista prolife Dott.ssa Mildred Jefferson si è svolta senza esclusione di colpi, mostrata crudamente dai registi: volutamente raccapricciante l’immagine dei feti appena abortiti, che non sarebbe sfigurata in un bell’horror, portati via in secchi dalle forze dell’ordine chiamate ad intervenire. Scene che, svelando il dichiarato intento cattolico di colpevolizzare sia chi l’aborto lo pratica che le donne che lo chiedono, mettono in dubbio la veridicità delle accuse volte a screditare la sentenza stessa, che, innescando una riflessione a riguardo, erano il punto di forza della docufiction.
Roe v. Wade è, in sintesi, un prodotto che, nel momento in cui perde la lucidità del documentario schierandosi partigianamente su un fronte, distrugge quel che di buono aveva creato. Nonostante il buon livello narrativo ed attoriale (tra gli interpreti, anche due bravi Steve Guttemberg e Jon Voight).

Michela Aloisi

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