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Kino Volta

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VOTO: 9

Joyce, Trieste, Dublino e il cinematografo

Oltremodo valide le proposte cinematografiche che, nel costo di questo 35° Trieste Film Festival, hanno caratterizzato uno stimolante Omaggio a James Joyce. Nel pomeriggio di domenica 21 gennaio riflettori puntati su Translating Ulysses (Ulysses Çevirmek, 2023) di Aylin Kuryel e Firat Yücel, con in sala ospiti dall’Olanda a raccontarci come la traduzione in curdo dell’opera più impegnativa del corpus joyciano, incarico già estremamente difficoltoso di suo, si sia trasformata per lo specialista Kawa Nemir in un’operazione dalle implicazioni culturali, esistenziali e finanche politiche di indubbia profondità.
Ottima la resa filmica di tale documentario, ancora più stupefacente quella del lavoro cinematografico scelto per completare tale dittico: Kino Volta, co-produzione italo-slovena affidata al triestino Martin Turk, la cui proiezione festivaliera si è svolta sempre domenica e sempre al Teatro Miela, però di mattina. Vi è intanto qualcosa di miracoloso nei presupposti stessi che hanno dato origine al progetto in questione. Si è partiti infatti da ciò che, tanto nei libri di storia che nelle biografie dello scrittore irlandese, viene tratteggiato tutt’al più come stringato aneddoto, ovvero l’accordo che James Joyce fece con alcuni imprenditori triestini per l’apertura della prima sala cinematografica irlandese, esperienza iniziata sotto i migliori auspici e conclusasi in modo fallimentare. Nel documentario arricchito da eccentrici momenti meta-teatrali e raffinati inserti di fiction, che Martin Turk e la sua equipe hanno realizzato dando sfogo a un’invidiabile creatività, si è riusciti a costruire, da un episodio di primo Novecento sul conto del quale le informazioni e le testimonianze attendibili non abbondano certo, eufemisticamente parlando, una caleidoscopica ricerca in grado di aprire nuovi orizzonti sia riguardo all’argomento trattato che da un punto di vista squisitamente formale.

In Kino Volta si fondono quindi un ritratto non convenzionale di Joyce e le parabole, spesso sorprendenti, di alcuni pionieri del cinematografo. Fondamentale, per questa avventurosa storia, è infatti il sodalizio che andò a stabilirsi tra lo scrittore irlandese e un gruppo di imprenditori triestini, nella fattispecie Antonio Machnich, Vincenzo Giuseppe Caris, Giovanni Rebez e Lorenzo Francesco Novak, i quali si erano lanciati con entusiasmo ai primi del Novecento nella grande novità rappresentata dal Cinematografo: il loro disegno consisteva infatti nell’organizzare estemporanee proiezioni itineranti e nell’aprire sale cinematografiche non soltanto a Trieste, ma anche in territori collocati fuori dall’Impero Austro-Ungarico che ne erano ancora privi. Fu così ad esempio che si trovarono a inaugurare il primo cinema di Bucarest, l’unico a dire il vero tra quelli di loro proprietà che ebbe sin dall’inizio discreto successo.
Grande enfasi fu data invece all’apertura del primo cinema di Dublino, piano messo a punto invece assieme a James Joyce, il quale un po’ per curiosità nei confronti del nuovo strumento espressivo, un po’ per venire incontro alle proprie necessità economiche e un po’ nel tentativo di rompere attraverso le immagini dei cine-giornali o di altre pellicole provenienti da mezzo mondo quel senso di chiusura, riscontrato amaramente nei suoi connazionali, aveva speso il suo nome per sostenere l’iniziativa presso il pubblico irlandese. L’inaugurazione avvenne il 20 dicembre 1909. Ma le differenti intenzioni e quel tanto di improvvisazione riscontrabili nell’inedita “cordata”, formata da lui e dagli uomini d’affari incontrati a Trieste, fecero sì che la prima, storica sala cinematografica di Dublino ebbe vita breve… l’ oggi si trova un negozio di abbigliamento alla moda, per quanto la classica targa sulla facciata del palazzo ricordi gli antichi fasti.

Preso atto dello spunto comunque affascinante e meritevole di essere approfondito, Martin Turk lo ha fatto suo costruendovi intorno una galleria di specchi ancor più seducente. La chiave di volta per Kino Volta (perdonate il gioco di parole) è rappresentata in effetti dal teatro. E dal carattere meta-teatrale (oltre che meta-cinematografica) della rappresentazione stessa. Sulla scia di un saggio dello sloveno Drago Jančar, una compagnia di attori già precedentemente interessata alle opere di Joyce (capitanata da Danijel Malalan, direttore e coordinatore artistico del Teatro Stabile Sloveno di Trieste) si è infatti prestata a mettere in scena ogni risvolto di tale vicenda, con uno spirito ludico, originale, situazionista. Il casting stesso del film si è trasformato così in atto creativo. Con tanto di adesioni dalla verde isola: meravigliosi Roisin Browne e Daniel Grimstone, rispettivamente nei panni di Nora a James Joyce. Soprattutto quest’ultimo, spinto dagli autori a scavare nelle note biografiche dello scrittore fino a trovarvi un singolare amore per la danza e gli spunti giusti per elaborare potenziale “clownerie” del personaggio, ha finito per prodigarsi in siparietti impagabili, connotati da una flessibilità del corpo e da movenze quasi alla Jacques Tati.

Il segreto di una simile docu-fiction, del resto, è proprio la precisione dei dati storici e biografici, correlata però a una messa in quadro brillante, stratificata, anarcoide, camaleontica, sofisticata per quanto di fruizione apparentemente semplice, nella quale vanno ad intrecciarsi mirabilmente improvvisazione (come nella trasferta irlandese, laddove durante il tradizionale Bloomsday uno dei protagonisti arricchisce il proprio storytelling joyciano… mettendosi addirittura a cantare in triestino!), humour, suggestioni cinefile, triestinità picaresca e tanto altro ancora.
Un mix decisamente felice, che ci ha ricordato per certi versi il sentiero intrapreso da Marco Melluso e Diego Schiavo, pionieri a loro volta di un docupop che con La signora Matilde e Il Conte Magico ha già ottenuto risultati assai sfiziosi; ovvero la magia di fare cultura e documentare storie importanti, intrattenendo al tempo stesso il pubblico con una vivacità raramente riscontrata altrove.

Stefano Coccia

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