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Il Conte Magico

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VOTO: 7.5

Tra magia (del cinema) e scienza

Un film decisamente curioso in una collocazione altrettanto insolita: Il Conte Magico di Diego Schiavo e Marco Melluso è finalmente approdato a Roma, il 9 luglio, grazie alla seconda edizione della rassegna “L’Aquila e il Corvo” in programma al Nuovo Cinema Aquila. Una bella vetrina dedicata al cinema di genere indipendente italiano. Facciamo tre passi indietro (con tanti auguri): cinema di genere? Sempre difficile mettersi d’accordo sulle definizioni. Ma la cosa più piacevole è forse proprio questa, lasciarsi spiazzare da un così brillante cortocircuito cinematografico, per cui la natura documentaria della ricerca si appropria di forme altre, di coloriture pop e di differenti stratagemmi narrativi, tali da porre il risultato oltre le più convenzionali e stantie classificazioni di genere.

Pian pianino ci stiamo avvicinando all’oggetto principale della scanzonata e indubbiamente creativa detection filmica, portata avanti dagli autori sulla falsariga di quanto già sperimentato col precedente La signora Matilde. Ma con un pizzico di sfacciataggine in più, stando a ciò che ci è dato sapere, anche rispetto a quel “gossip dal Medioevo” tanto naïf. Dalla “docummedia” su Matilde di Canossa a questo immaginifico viaggio in un retroterra risorgimentale poco conosciuto si è in qualche modo alzata la posta. “Risorgimental Channel”, volendo fare da megafono a una delle trovate più sapide, introdotte sullo schermo per l’occasione.
Il Conte Magico è innanzitutto sunto di luoghi e biografie assolutamente da riscoprire: l’affascinante storia di Cesare Mattei e della sua Rocchetta edificata nel cuore degli Appennini, tanto per cominciare. Di famiglia agiata, reso aristocratico da papa Pio IX per merito di certe magnanime donazioni, citato addirittura da Dostoevskji ne I fratelli Karamàzov, scienziato, omeopata, benefattore, appassionato di esoterismo e chi più ne ha più ne metta, il conte Mattei (vissuto nel bolognese a cavallo tra Stato Pontificio e unità d’Italia) è uno di quei grandi italiani la cui tumultuosa esistenza pareva caduta però nell’oblio. A Diego Schiavo e Marco Melluso va non soltanto il merito di aver riportato alla luce le singolari vicende che lo hanno visto protagonista, producendo peraltro una documentazione estremamente accurata, ma di averlo fatto spaziando a livello formale attraverso i più disparati comparti dell’immaginario.

Ciò che Domenico Vitucci ha definito con arguzia “falso mockumentary”, anche in virtù delle fantasiose tracce disseminate lungo la via, si configura quale ricognizione di una Bologna più o meno nota a caccia di un passato spesso sorprendente. Il camaleontico documentario diviene di volta in volta mistery, esercizio di storytelling, epopea steam punk, fantasy appenninico, divertente parafrasi de Il Mago di Oz ed estemporaneo spettacolo di cabaret. In tal senso provvidenziale è stata la scelta del cast. Una cantante deliziosa e in rapida ascesa come Roberta Giallo, reduce da un tour mondiale, pare qui a suo agio tanto quanto lo è nei suoi coloratissimi video. Accanto a lei, oltre al pregevole cameo di Ivano Marescotti, un plotoncino di interpreti tra cui spicca il meglio della comicità emiliana, quella che aveva animato ad esempio una trasmissione di culto come Lupo solitario: da una Syusy Blady “di passaggio” a Vito, per non parlare poi di Eraldo Turra e Luciano Manzalini, ovvero gli indimenticabili Gemelli Ruggeri. Con tutti loro in scena l’obiettivo di rendere divertente la Storia non poteva che andare felicemente in porto.

Stefano Coccia

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