A Bucarest, sul tetto dell’Inferno
In questo mondo
Noi camminiamo sul tetto dell’Inferno
Guardando i fiori
Kobayashi Issa
La direttrice artistica del festival, Nicoletta Romeo, lo ha comprensibilmente definito un film-mondo. Scelto per l’apertura del 35° Trieste Film Festival (ma con diversi allori collezionati altrove: Premio Speciale della Giuria al Festival di Locarno e candidato rumeno agli Oscar 2024, solo per citare le tappe più rilevanti), il labirintico Non aspettarti troppo dalla fine del mondo (in rumeno Nu aștepta prea mult de la sfârșitul lumii, titolo comunque ispirato a un aforisma dello scrittore polacco Stanislaw Jerzy Lec) riflette in ciò la personalità dell’autore, poliedrica e all’occorrenza anche caustica. Del resto l’ultimo lavoro di Radu Jude mostrato qui a Trieste era stato il cortometraggio Potemkiniștii (2023), irriverente tributo a un Maestro come Ėjzenštejn e al Mito della celebre corazzata Potëmkin, nella cui singolare architettura diegetica l’ombra della satira politica non tardava certo ad allungarsi.
Formati brevi, lungometraggi fluviali, nell’ottica del rumeno Radu Jude il discorso cambia poco o nulla: l’immensa libertà espressiva di cui si ammanta è viatico di uno sguardo sul mondo ancor più libero, spiazzante, beffardo. Per quasi tre ore un susseguirsi di camera car e di inquadrature assai differenti tra loro, a livello formale, che sanciscono tanto il frammentarsi della visione nel caos attuale che un malinconico livellarsi del gusto comune verso il basso, ci accompagnano assieme alla sfrontatissima Angela (ovvero Ilinca Manolache, straordinaria interprete rumena che qui ha l’argento vivo addosso, tanto adrenalinica può apparirci la sua forsennata performance) in un folle giro di Bucarest, durante il quale tutta la pochezza della contemporaneità finisce per scivolare addosso sia a lei che agli attoniti spettatori.
Angela fa l’assistente di produzione e guida senza sosta la macchina di rappresentanza della sua società, costantemente a caccia di soggetti, tutti vittime di incidenti sul lavoro, che si sta tentando di ingaggiare per uno spot commissionato all’estero (da cui la breve ma folgorante apparizione dell’attrice tedesca Nina Hoss) che trasuda malafede, superficialità e ipocrisia da ogni poro. La satira della società ultra-liberista di oggi assume tinte sempre più acide. Ma quel Radu Jude che non fa sconti a un presente in cui il mercato sembrerebbe essere l’unico valore rimasto, non li fa neanche al passato recente. E così, sottolineata da un continuo alternarsi di bianco e nero e colore, s’afferma poco alla volta la fondamentale dicotomia di un film, nel corso del quale alle imprese al volante della bionda protagonista se ne accavallano altre: quelle di una donna chiamata anch’essa Angela, che nella pittoresca pellicola anni ’80 di Lucian Bratu intitolata Angela merge mai departe guidava con determinazione un taxi, nella Romania di Ceaușescu giunta ormai quasi al tramonto. In filigrana, propiziate proprio dall’uso mirato del materiale di repertorio, si possono così scorgere non poche frecciatine rivolte anche a quel mondo in declino.
Perché alla fin fine, disarticolata e incastonata tra aforismi giapponesi ed estenuanti piani sequenza, tra salaci battute su Godard ed esilaranti parafrasi dello squallore di TikTok e dei suoi sempre più abbrutiti adepti, la caleidoscopica visione della realtà proposta in Non aspettarti troppo dalla fine del mondo è un bestiario moderno che non fa prigionieri. Sebbene l’ironia presente sottotraccia un po’ ovunque stemperi saggiamente il giustificato livore. E non mancano neanche, dulcis in fundo, sorprendenti epifanie come quella di Uwe Boll, regista tedesco spesso denigrato per il suo approccio sparagnino al cinema di genere, la cui provocatoria risposta a detrattori ed haters (tra cui gli stessi critici cinematografici) invitati talora a battersi con lui sul ring, sembra divertire (e forse, chissà, stuzzicare) anche il sornione, non meno polemico (seppur da prospettive diverse) collega rumeno Radu Jude.
Stefano Coccia